Se i giornalisti raccontassero meglio i fatti
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Quanto pesa la scarsa attenzione dei media per le minacce ai cronisti. Un articolo tratto dalla Newsletter dell’Odg di Bologna
Di seguito un brano dell’articolo del direttore di Ossigeno Alberto Spampinato
(…) Ormai le principali organizzazioni dei giornalisti si costituiscono parte civile nei processi, sollecitano attivamente il mondo politico e le forze dell’ordine.
Tutto ciò dice che il lavoro svolto dal 2009 in poi non è stato inutile. Ma ora bisogna fare un passo avanti e passare dalle parole ai fatti.
La prima cosa da realizzare, nell’attesa che siano adottate le più adeguate misure, è proprio questa: creare reti di solidarietà più robuste in grado di aiutare concretamente a resistere chi subisce abusi e violenze ingiustificabili e non può difendersi con le sue sole forze. Ciò richiede certamente una sinergia fra le forze in campo. Richiede anche che i giornalisti facciano meglio la loro parte, diano il buon esempio. Innanzitutto combattendo quel luogo comune molto radicato secondo il quale un giornalista minacciato o querelato sicuramente ha fatto qualcosa di sbagliato o “se l’è cercata”. Non è così ma molti giornalisti lo pensano e ciò ci indebolisce.
Un’altra cosa che i giornalisti potrebbero fare è questa: fornire come cronisti, come redattori dei giornali, come direttori delle varie testate, una informazione più ampia, più completa e continuativa sulle minacce che colpiscono i loro colleghi e impediscono ai cittadini di conoscere molti fatti di pubblico interesse. Credo che così si darebbe un grande contributo agli sforzi collettivi che noi e altri facciamo per sensibilizzare le coscienze.
Questo contributo sarebbe ancor maggiore se, inoltre, queste notizie, quelle poche volte che vengono pubblicate, fossero contestualizzate, com’è doveroso per ogni informazione giornalistica, inserendo ogni singolo episodio nel quadro generale del fenomeno. Come si fa, ad esempio, nel riferire la notizia di uno stupro. Ormai si avverte la necessità di dire quanti altri episodi si sono verificati in tutta Italia e nella stessa zona, e si precisa quando: nell’ultimo mese, nell’ultimo anno e con quali similitudini.
Ciò sarebbe estremamente utile per fare comprendere la gravità del fenomeno. Sarebbe anche doveroso. Perché pochi lo fanno? Mi chiedo se agire così, oltre ad essere una mancanza di sensibilità, sia anche un errore dal punto di vista professionale e forse anche una violazione deontologica.
Onestamente, non lo so stabilire con certezza, ma penso di sì. Vorrei che su questo e altri punti riflettessimo insieme, ragionando pacatamente, organizzando dei confronti fra chi la pensa come me e chi invece non è d’accordo. Parliamone e chiariamo questi punti, se vogliamo davvero impegnarci efficacemente per promuovere un’informazione corretta e di qualità. So che anche il presidente dell’Ordine, Carlo Verna, ha soffermato il pensiero su questi aspetti della nostra professione e spero che ci sia l’occasione di discuterne pubblicamente e di offrire a ognuno elementi utili per orientarsi.
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