Riflessioni su Gad Lerner querelato da Acciaierie Italiane
Stefano Feltri dice aboliamo il reato di diffamazione a mezzo stampa. Giusto ma non basta, dice Ossigeno
OSSIGENO 28 gennaio 2023 – Commentando il clamoroso caso del giornalista Gad Lerner, querelato per diffamazione a mezzo stampa dall’ex ILVA per il suo commento a Radio Tre sulle misure antinquinamento mai adottate dall’acciaieria di Taranto, Stefano Feltri fa bene a dare solidarietà al giornalista e dire: “Aboliamo il reato di diffamazione per salvare il giornalismo libero”.
Fa bene perché da anni l’Italia è additata in Europa come la pecora nera per le querele temerarie e le minacce ai giornalisti e non riesce a contrastare più efficacemente questi malanni. Perciò bisogna cominciare a dire chiaramente che cosa serve al nostro paese per mettersi al passo con gli standard internazionali in materia di libertà di stampa e di protezione giuridica della reputazione.
Certamente, come dice Feltri, occorre abrogare il reato di diffamazione a mezzo stampa e l’annessa previsione del carcere (fino a tre anni) per i colpevoli di questo reato. Anche Ossigeno per l’informazione la invoca, da anni. Eppure, finora nessun politico o parlamentare italiano ha sposato questa tesi. Eppure, con le sue sentenze la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affermato più volte che la regolazione penale della diffamazione a mezzo stampa e la previsione del carcere hanno un effetto raggelante (chilling effect) sui giornalisti impegnati a documentare fatti controversi e scomodi per il potere. Insomma, queste leggi incoraggiano i giornalisti a rivolgere lo sguardo da un’altra parte, ad auto-censurarsi.
Ciò considerato, Ossigeno non chiede una pura e semplice abrogazione dell’articolo 595 del Codice penale: propone un intervento più articolato, perché la questione è complessa e bisogna tenerne conto. Diciamo perciò che occorre depenalizzare la diffamazione a mezzo stampa, come dicono anche l’UNESCO e altre organizzazioni internazionali come l’OSCE, il Consiglio d’Europa (e molti paesi hanno già accolto queste raccomandazioni). Ma, aggiungiamo noi, allo stesso tempo bisogna introdurre nuove fattispecie di reato per punire:
- chi utilizza la libertà di espressione e di stampa come un’arma impropria al fine di diffondere intenzionalmente notizie false a proprio vantaggio o per danneggiare persone incolpevoli (la macchina del fango);
- chi ostacola deliberatamente la libertà di informazione e i giornalisti che diffondono verità scomode;
- chi incita all’odio etnico, religioso, razziale.
Queste sono soltanto le principali correzioni che il Parlamento italiano dovrebbe avere il coraggio e l’onestà di introdurre nel nostro ordinamento, osservando gli obblighi che derivano dallo stato di diritto e dall’adesione ai trattati internazionali.
Se altri paesi hanno compiuto questo cammino, se hanno introdotto norme sulla diffamazione a mezzo stampa molto più rispettose del diritto di informazione, perché non dovrebbe farlo l’Italia? Il Regno Unito, per fare un esempio, nel 2009 ha introdotto una riforma che fa prevalere la verità dei fatti e l’interesse pubblico sul diritto dei singoli e dei rappresentanti di imprese e istituzioni a proteggere la propria reputazione e immagine. Questa riforma, fra l’altro, ha limitato fortemente la facoltà delle imprese pubbliche a promuovere azioni legali contro giornalisti e attivisti che li criticano pubblicamente. Credo che in Gran Bretagna non sarebbe neppure nato il caso Acciaierie contro Gad Lerner. La riforma di Londra ha limitato fortemente la possibilità di chiedere risarcimenti per diffamazione a mezzo stampa senza documentare il danno effettivo subito. Misure che noi italiani sogniamo. Come sogniamo l’abrogazione delle ancora numerose norme punitive residuate dallo Statuto Albertino del 1848 e dal Codice Rocco del regime fascista: le norme sul vilipendio e sull’offesa a Corpo Politico o militare o giudiziario, che sopravvivono come dinosauri dormienti e vengono talvolta richiamati in vita.
Il caso Lerner ci fa riflettere su questa triste situazione e illumina bene, in particolare, un lato non trascurabile del nostro problema: un giornalista che si esprime fuori dall’azienda editoriale con cui lavora (o in un talk show) non ha protezione legale e viene querelato per ciò che dice, se la deve vedere da solo davanti ai giudici, a proprie spese, anche di fronte a poteri forti e colossi economici. Come risulta dai casi esaminati da Ossigeno per l’Informazione, purtroppo anche molti giornalisti che lavorano per le aziende editoriali (soprattutto i freelance) non hanno assistenza legale del loro editore. Ossigeno ha documentato il caso di un giornalista del Corriere della Sera (Cesare Giuzzi) e di una giornalista d’inchiesta freelance (Sara Manisera) alla quale l’assistenza legale è stata fornita a spese di Ossigeno.
A ragion di logica e di diritto sostanziale, ogni editore dovrebbe assicurare l’assistenza legale e la manleva a tutti gli autori degli articoli pubblicati, riservandosi eventualmente di rivalersi su di loro se fosse dimostrata la loro slealtà o malafede. È un principio che vale per chi commercializza qualsiasi merce. Evidentemente c’è qualche lacuna da colmare nei nostri codici.
Io credo che anche i singoli giornalisti potrebbero fare di più per cautelarsi. Ad esempio, per evitare spiacevoli incidenti chi partecipa a trasmissioni come “Prima pagina” di Radio Tre o a un talk show potrebbe subordinare la propria partecipazione alla garanzia formale di avere protezione legale in caso di querela. Così sarebbero più liberi di esprimere critiche e opinioni sgradite. ASP
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!