Ossigeno a Brussels. Come convincere gli scettici
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Questo intervento è stato illustrato da Alberto Spampinato, direttore di Ossigeno, martedì 6 novembre 2018, all’Istituto di Cultura di Brussels, durante l’incontro giornalisti minacciati in Italia, Francia e Belgio. All’Incontro hanno partecipato cronisti di questi tre paesi (per l’Italia, Federica Angeli), e hanno portato la loro testimonianza.
Tutti cerchiamo incessantemente di avere informazioni per sapere ciò che accade intorno a noi. Lo facciamo per orientarci, per motivare le nostre opinioni, per fare le nostre scelte.
E’ un bisogno insopprimibile di ogni essere umano ed è riconosciuto come un diritto fondamentale.
Per conoscere i fatti più importanti, ci affidiamo ai giornali, ai notiziari radio e televisivi o alla rete. Ci affidiamo ai giornalisti, al loro lavoro. Poiché hanno il compito di soddisfare professionalmente questa esigenza sociale, pretendiamo che ci diano anche le notizie più scomode e difficili da pubblicare, quelle che comportano il rischio di mettersi contro persone e istituzioni potenti, vendicative, perfino contro criminali in grado di reagire con ritorsioni forti e violente.
Facciamo bene a pretenderlo. Ma dovremmo essere conseguenti e cercare di capire quali ostacoli devono superare i nostri indomiti giornalisti per assolvere compiti così difficili. Dovremmo chiederci inoltre come potremmo aiutarli, attrezzarli meglio, soccorrerli e proteggerli affinché possano affrontare le missioni difficili e non soccombere. Questo sforzo di capire, di metterci nei loro panni, non lo facciamo quasi mai e sbagliamo. Ne discutiamo soltanto per qualche giorno, dopo che un altro giornalista è stato ucciso, o minacciato di morte e si teme per la sua vita. Ne discutiamo soltanto sull’onda dell’emergenza, quando non c’è, né ci può essere, quella freddezza analitica necessaria per discutere e trovare le risposte giuste.
Negli ultimi dieci anni è andata sempre così, mentre nel mondo venivano uccisi 1010 giornalisti, di cui 80 solo negli ultimi 12 mesi, e soltanto il 7 per cento dei 1010 fossero corrispondenti di guerra o inviati all’estero (secondo le statistiche dell’Unesco).
Ora forse qualcosa sta cambiando, da quando, negli ultimi mesi, tre giornalisti sono stati assassinati uno dopo l’altro, in tre paesi della nostra pacifica Europa (due certamente a causa del lavoro scomodo che facevano, mentre per il terzo le cause sono in corso di accertamento). Queste morti sono state una frustata alla coscienza politica dell’Europa. L’attenzione generale è cresciuta. Ciò produrrà buoni frutti se – prima che cali nuovamente l’interesse – si riuscirà a trarre la lezione giusta da quanto è accaduto. Perciò dobbiamo fare la nostra parte dicendo cosa abbiamo appreso da questi ultimi assassinii.
Io darò il mio contributo dicendo che quelle morti si potevano e si dovevano evitare. Che se Daphne Caruana Galizia e Jan Kuciak fossero stati in Italia, molto probabilmente sarebbero stati salvati dalla furia omicida, perché in Italia c’è un sistema di protezione dei giornalisti efficace che ha già salvato la vita a molti giornalisti. Questo sistema è consolidato e questo è uno dei motivi principali per cui, dal 1993 in poi, nessun giornalista è stato più ucciso in Italia. Questo sistema di protezione dovrebbe essere studiato e possibilmente replicato, in tutto o in parte, in altri paesi che ne sono privi, negli Stati che tuttora si accorgono dei giornalisti minacciati solo dopo la loro morte, nei paesi che con l’adesione all’Unione Europea, al Consiglio d’Europa e alle Nazioni Unite hanno assunto l’obbligo di adottare misure di protezione idonee seguendo gli standard più volte codificati, ma ancora non rispettano questo impegno.
Credo che si potrebbero convincere anche i più recalcitranti mostrando con dati di fatto innegabili che le minacce sono frequenti e numerose anche nei loro paesi. I dati di fatto si possono produrre con un monitoraggio oggettivo e documentato che, oltre a dimostrare, in ogni paese, quanti giornalisti, ogni anno subiscono minacce a causa del loro lavoro, può suggerire anche quante e quali leggi e procedure si devono aggiornare in ciascun paese.
In Italia abbiamo sperimentato con successo questo monitoraggio per dieci anni, mettendo a punto un metodo scientifico di rilevazione, classificazione e analisi che potrebbe essere replicato. Abbiamo mostrato, fra l’altro, che questo genere di monitoraggio è già, di per sé, un sistema di protezione, il fondamento di ogni sistema di sicurezza per i giornalisti in pericolo. Applicando il suo metodo di osservazione, Ossigeno per l’Informazione ha elencato pubblicamente i nomi dei giornalisti minacciati, compilando e pubblicando una lista che ora comprende 3721 nomi insieme alla storia di ognuno di essi. Ossigeno ha inoltre mostrato che i giornalisti minacciati in Italia sono molti di più di quelli elencati: sono almeno 15 volte di più. Questa lista ha convinto anche i più increduli. Il numero enorme di minacciati ha fdimostrato a tutti quanto sia grande il problema e quanto sia oscurato in Italia. Certamente ormai in Italia lo è meno che in tutti gli altri paesi, in nessuno dei quali si producono liste di minacciati né si fa un monitoraggio paragonabile per attendibilità a quello italiano.
Il monitoraggio di Ossigeno, fra l’altro, ha mostrato come e perché si deve modificare la legge sulla diffamazione a mezzo stampa. Lo ha mostrato con statistiche inoppugnabili, secondo le quali in Italia ogni hanno cinquemila giornalisti sono querelati pretestuosamente per diffamazione a mezzo stampa, quasi sempre a scopo intimidatorio, e vengono perciò prosciolti in fase istruttoria, mentre 450 giornalisti ritenuti colpevoli di questo reato sono condannati in primo grado: 295 di loro a pagare delle multe, gli altri 155 a pene detentive per complessivi 103 anni di carcere. Voglio sottolineare che queste ultime cifre si riferiscono ad ogni singolo anno e hanno il crisma del Ministero della Giustizia.
Nei giorni scorsi, valutando questi risultati, il direttore per i Media dell’UNESCO ha detto che l’Italia e Ossigeno per l’Informazione sono leader a livello mondiale nel settore del monitoraggio delle minacce ai giornalisti. La Commissaria per i diritti umani Dunja Mijatovic ha aggiunto un apprezzamento analogo.
Questi apprezzamenti ci incoraggiano a continuare la raccolta e la diffusione dei dati in Italia e a fare ogni sforzo per sperimentare il nostro metodo di monitoraggio in altri paesi, perché nel contesto europeo e in un mondo così permeabile non si può salvare la libertà di informazione in un paese solo.
Attualmente in Italia, secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Interno, diciotto giornalisti che hanno subito minacce di morte vivono con la protezione armata delle forze dell’ordine, alcuni da molti anni. Una di loro è Federica Angeli che stasera è con noi. Potrà confermare lei stessa se il nostro monitoraggio, come io credo, l’ha aiutata a resistere alle gravissime minacce che ha subito, se l’ha aiutata a rompere l’isolamento e l’oscuramento che di solito circonda i giornalisti sotto attacco e li indebolisce.
Stasera con noi ci sono anche giornalisti francesi e belgi che sono stati minacciati. E’ la prima volta che riusciamo a riunire giornalisti di tre paesi europei che hanno subito minacce e che possono dimostrare con la loro esperienza diretta quanto questo problema sia reale, sia attuale, sia esteso e sostanzialmente incontrastato.
Spero che questo nostro incontro accenda la luce dell’attenzione in tutta Europa e segni l’inizio di una fase di impegno più concreto per liberare l’informazione dalla censura mascherata che è ormai un problema per la nostra democrazia.
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