Ex Presidente Molise a giudizio per calunnia a una giornalista
Sette anni di processo hanno dimostrato la falsità delle sue accuse di tentata estorsione a Manuela Petescia di Telemolise. Lei: ho vissuto anni durissimi
OSSIGENO 26 luglio 2022 – Il 6 dicembre 2022 avrà inizio al Tribunale di Bari il processo per calunnia che vede imputati Paolo Frattura (presidente della Regione Molise dal 2013 al 2018) e l’avvocato Salvatore Di Pardo. I due sono stati rinviati a giudizio per avere accusato falsamente la giornalista Manuela Petescia (direttrice responsabile dell’emittente televisiva Telemolise) e il magistrato Fabio Papa di avere ricattato il presidente della Regione a scopo di estorsione. Questa accusa, formulata nel 2014 con una querela, ha dato vita a un processo penale a carico della giornalista e del magistrato. Il processo è iniziato nel 2015 e si è concluso in appello il 10 marzo del 2021 con l’assoluzione piena dei due imputati. Si è svolto a Bari e non in Molise perché era imputato un magistrato di Campobasso.
“LA CENA CON RICATTO” – Durante il processo i due accusatori, hanno sostenuto che la giornalista aveva tentato di estorcere al presidente della regione fondi per la propria televisione. Lo aveva fatto, secondo l’accusa, durante una cena a cui aveva partecipato insieme a Frattura anche l’avvocato Di Pardo. Secondo questa accusa, Manuela Petescia aveva detto che in caso di rifiuto avrebbe pubblicato una serie di notizie per danneggiare il presidente della Regione, in particolare avrebbe dato spazio e rilevanza a un’inchiesta giudiziaria avviata a Campobasso dal sostituto procuratore Fabio Papa. Di conseguenza era iniziato un procedimento penale, un processo e il CSM, per motivi cautelari, aveva trasferito il magistrato da Campobasso a Rovigo, per poi reintegrarlo nelle sue funzioni. Attualmente Fabio Papa ha ripreso il suo posto presso la procura del Tribunale di Campobasso.
IL PROCESSO ALLA GIORNALISTA – La giornalista ha sempre respinto le accuse e ha sempre negato di aver partecipato a una cena con il presidente Frattura sfidando a dimostrare il contrario. Nel corso del processo, Frattura e Di Pardo sono stati sconfessati: non sono riusciti a fornire la prova che quella cena ci sia mai stata né a indicarne precisamente la data. E questo perché la “cena del ricatto” in realtà non è mai avvenuta. Di conseguenza Manuela Petescia e Fabio Papa sono stati prosciolti in primo e in secondo grado. Paolo Frattura ha fatto ricorso in Cassazione. Il 6 marzo del 2022 il suo ricorso è stato rigettato integralmente e l’assoluzione è diventata definitiva. Paolo Frattura e Salvatore Di Pardo sono stati condannati a pagare le spese processuali e a rifondere le spese processuali sostenute da Manuela Petescia e Fabio Papa.
LA GIORNALISTA – “Con questo processo ho subito un danno incalcolabile sul piano personale, familiare ed economico”, ha raccontato Manuela Petescia a Ossigeno. “Per me sono stati anni durissimi. Ho subito una pressione psicologica molto pesante e ho dovuto far fronte a spese legali ingenti. Per fortuna ho le spalle larghe, ho carattere ed esperienza e mi chiedo che cosa sarebbe accaduto se questo macigno fosse piombato addosso a un mio collega caratterialmente e professionalmente più fragile. Non voglio pensarci”.
“E comunque – ha aggiunto Manuela Petescia – essendo innocente, io non immaginavo di dover vivere questo calvario. All’inizio mi sono detta: non ti preoccupare, i giudici chiariranno subito che le accuse contro di te sono false e inconsistenti e tutto sarà finito. Ho continuato a sperarlo anche quando ho ricevuto l’avviso di garanzia. Poi però sono stata rinviata a giudizio con quelle accuse assurde e mi sono sentita come se tutta la mia vita si sbriciolasse. Com’era possibile? Di quella cena i miei accusatori non riuscivano a dire neanche la data! Quella cena che non c’è mai stata. Eppure è iniziato un processo contro di me. Oltre al presidente Frattura, avevo contro la Regione e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, come parti offese. Non sapevo come difendermi da accuse così vaghe”.
La giornalista ha ricordato che la pubblica accusa inizialmente credeva alla testimonianza di Paolo Frattura e di Salvatore Di Pardo, e il pm di Bari aveva chiesto per lei la condanna a due anni e otto mesi di reclusione più la radiazione dall’albo dei giornalisti (leggi qui). A quel punto lei aveva cominciato a organizzare più attivamente la sua difesa. Navigando sui social e consultando le sue rubriche aveva ricostruito in dettaglio la sua agenda personale e di lavoro, segnando le date e l’ora di tutte le ‘dirette’ effettuate in quel periodo su Telemolise. “Ho raccolto tutti i dati e gli elementi che dimostravano l’assurdità delle accuse e così sono riuscita a smentire che quella cena si sia effettivamente svolta”.
Come ha vissuto quel brutto periodo? “Di giorno – ha risposto Manuela Petescia – lavoravo, andavo in onda e davo anche le notizie sul processo che mi riguardava. Di notte facevo le mie ricerche. Così ho ricostruito con esattezza dove mi trovavo ciascuna sera di due anni prima. Paolo Frattura e Salvatore Di Pardo hanno più volte cambiato la versione dei fatti, hanno modificato la data in cui si sarebbe svolta quella fantomatica cena. Ogni volta io sono riuscita a dimostrare che mentivano. La Procura ha disposto una serie di perizie per controllare i nostri tabulati telefonici e l’esito ha confermato che io dicevo la verità: quella cena non c’è mai stata”.
IL PROCESSO PER CALUNNIA – Ora Paolo Frattura e Salvatore Di Pardo sono stati rinviati a giudizio per calunnia continuata in concorso, per aver accusato Manuela Petescia e Fabio Papa del reato di tentata estorsione con accuse che non sono riusciti a circostanziare nel corso dell’intero processo. Il pm infatti ha riscontrato la reiterazione di dichiarazioni false contro i due accusati, dalla prima denuncia sino alla conclusione del processo di appello.
LA SOLIDARIETA’ – Ossigeno per l’informazione esprime alla giornalista Manuela Petescia piena solidarietà e ammirazione per la sua straordinaria forza d’animo e capacità di resistere con le proprie forze a un attacco così forte e prolungato. La sua incredibile vicenda, come altre raccontate da Ossigeno, conferma che i giornalisti italiani hanno veramente bisogno di avere nuove e più robuste reti di solidarietà e di assistenza, in grado di mobilitarsi al fianco dei singoli cronisti che, come è accaduto a Manuela Petescia, vedono minacciate la loro credibilità personale e l’autonomia e l’indipendenza su cui si fonda il diritto di informazione. Questi attacchi sempre più spesso vengono sferrati sul piano giudiziario e richiedono spese legali ingenti, superiori alle disponibilità patrimoniali di gran parte dei giornalisti italiani. Quando accadono queste cose e non si riesce a mettere in campo una solidarietà concreta e attiva a favore della vittima di turno, un giornalista si vede spinto a lasciare la sua professione, a rinunciare a portare avanti la ricerca della verità. E ciò dice che questi attacchi sono vere e proprie violazioni del diritto di informazione e devono essere contrastati come tali. Questa storia è sorprendente anche perché, da un lato, mostra che la nostra giustizia è in grado di smontare le denunce false (anche quelle formulate da persone potenti), ma allo stesso tempo mostra che per la macchina giudiziaria è normale tenere un indagato (in questo caso una giornalista, una professionista che svolge una funzione di interesse pubblico) sul banco degli imputati per sette anni prima di proscioglierlo da accuse gravissime formulate in modo vago da un uomo politico. Indubbiamente questa giustizia in questi casi funziona alla rovescia e il diritto di querela merita riforme che purtroppo non si vedono neppure all’orizzonte. GB
(Ha collaborato Laura Turriziani)
LEGGI IL COMMENTO di Alberto Spampinato
Il caso Molise e l’inarrestabile valanga delle querele pretestuose
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