Minacce. Contestare aggravante metodo mafioso. Perché a Ostia sì e a Bologna no?
La Cassazione ha confermato che è stato legittimo per la testata di Roberto Spada a Daniele Piervincenzi. Invece in Emilia Romagna la Corte d’Appello ha riscritto la sentenza di primo grado del processo “Black Monkey” che applicava questa fattispecie
OSSIGENO 15 NOVEMBRE 2019 – Due sentenze mostrano quanto sia ancora incerta la giurisprudenza italiana nella contestazione del reato di associazione mafiosa e dell’aggravante del metodo mafioso nei processi ai responsabili di minacce, aggressioni e intimidazioni ai giornalisti. La prima decisione e della Corte di Cassazione che ha confermato l’aggravante già contestata dalla Corte d’Appello di Roma. La seconda sentenza è della Corte d’Appello di Bologna che non ha convalidato le condanne di 13 imputati per associazione mafiosa, riducendo di conseguenza le pene inflitte e revocando i danni riconosciuti alle parti civili dal Tribunale. A settembre 2019, in primo grado, Roberto Spada era stato condannato all’ergastolo per associazione mafiosa.
A ROMA – E’ definitiva la condanna a sei anni di reclusioni di Roberto Spada per aver aggredito, con l’aggravante del metodo intimidatorio mafioso, con una testata al volto che gli spaccò il naso e con un bastone, provocando lesioni, il giornalista Daniele Piervincenzi e il video operatore Edoardo Anselmi, a Ostia, la zona residenziale di Roma sul litorale laziale. Lo ha stabilito il 13 novembre 2019 la Corte di Cassazione (quinta sezione penale, presieduta da Grazia Miccoli, pg Pasquale Fimiani), confermando la sentenza della Corte d’Appello. Il giornalista e l’operatore furono aggrediti il 7 novembre 2017. Stavano realizzando come freelance un servizio per il programma televisivo della RAI “Nemo”, sulla campagna elettorale in corso per le elezioni del municipio, che era stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Secondo la Cassazione, nell’aggressione alla troupe televisiva sono presenti “gli indici sintomatici che rilevano la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso con una deliberata e ostentata manifestazione di potere” (leggi).
L’AVVOCATO Giulio Vasaturo, legale di parte civile della Fnsi, ha commentato: «Questa sentenza è un riconoscimento per tutti quei giornalisti, come Daniele Piervincenzi, che ogni giorno varcano i fortini della criminalità organizzata per rivolgere a piccoli e grandi boss le domande più scomode».
Il PRESIDENTE del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Verna ha definito “un successo” il pronunciamento della Cassazione.
A BOLOGNA – Invece a Bologna, al processo “Black Monkey”, la Corte d’appello ha eliminato le condanne per il reato di associazione mafiosa inflitte agli imputati il 22 febbraio 2017 dal Tribunale di Bologna con una sentenza che fece clamore perché considerava mafiosa un’organizzazione con sede a Ravenna e, secondo i pm, contatti con la ‘ ndrangheta e ramificazioni in Emilia- Romagna e in tutta Italia. Quella sentenza aveva condannato tredici imputati su ventitre per il 416 bis o ter (associazione mafiosa e concorso esterno). Fra loro,
Nicola Femia, ritenuto dalla procura a capo di una cosca di ‘ndrangheta in Emilia e che, intercettato al telefono, diceva del giornalista, Giovanni Tizian: “Gli spariamo in bocca”.
La Corte d’appello ha ridotto le pene e ha revocato i risarcimenti assegnati in primo grado alle parti civili, tra questi anche al giornalista Tizian che da allora vive sotto scorta (leggi).
Giovanni Tizian ha annunciato che farà ricorso in Cassazione e ha espresso la sua amarezza per il fato che alcuni reati stanno cadendo in prescrizione. “Leggerò meglio la sentenza per verificarlo. Per me – ha dichiarato – resta la gravità di un’organizzazione che secondo alcuni elementi sicuramente ha a che fare con le organizzazioni mafiose, su questo c’è poco da fare. Restano quei personaggi che abbiamo visto durante l’inchiesta, legati ai clan calabresi. Ma per la Corte d’Appello, evidentemente, non è ndrangheta». ASP
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