L’Ora, il suo direttore e tre cronisti uccisi
Un ricordo di Vittorio Nisticò, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato e del quotidiano L’Ora di Palermo, che svelò per primo i volti e i nomi dei capimafia
Questo testo di Alberto Spampinato è estratto dal libro che sarà pubblicato nelle prossime settimane a Palermo in memoria del giornalista Vittorio Nisticò, scomparso nel 2009 a 89 anni. Il volume contiene articoli firmati dai giornalisti che fecero parte di quella redazione. Nisticò fu direttore del quotidiano L’Ora per vent’anni: dal 1955 al 1975. In quegli anni furono uccisi tre giornalisti dell’Ora: Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato.
Nell’albo d’onore del quotidiano L’Ora sono iscritti a pieno titolo, insieme ad altri, i nomi di tre giornalisti, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro e Giovanni Spampinato. Furono uccisi in Sicilia fra il 1960 e il 1972, mentre erano impegnati professionalmente nel rischioso compito di svelare ai lettori verità scomode per il potere, per la mafia.
Cosimo Cristina, 25 anni, fu ucciso a Termini Imerese il 5 maggio 1960. Era il corrispondente da quella città. I suoi assassini sono rimasti ignoti.
Mauro De Mauro, 49 anni, fu sequestrato il 17 settembre 1970 a Palermo. Il suo corpo non è stato ritrovato. Alcuni collaboratori di giustizia hanno accusato Totò Riina di essere il mandante. Le prove non sono state sufficienti per condannarlo.
Giovani Spampinato, 25 anni, fu ucciso il 27 ottobre 1972 a Ragusa, con sei colpi di pistola da un reo confesso che non ha dato una versione convincente sul movente e sui complici. Era il corrispondete da Ragusa. Indagava sull’attività paramilitare di gruppi eversivi neofascisti nel triangolo Catania-Ragusa-Siracusa e sui loro collegamenti con mafia e malavita locale.
“La storia del giornalismo è listata di sconfitte e di ferite senza fine, e quasi sempre con un marchio di grandezza, come appunto nel caso dell’assassinio di De Mauro, di quello di Spampinato e dell’esecuzione mafiosa” di Cosimo Cristina, ha scritto Vittorio Nisticò, il direttore del giornale in quegli “anni ruggenti” in cui fu anche lo stratega e il condottiero della squadra di cronisti che svolse grandi inchieste annoverate negli annali del giornalismo. Quando ha rievocato quei drammatici eventi nel memorabile libro (“Accadeva in Sicilia”, Sellerio, 2001) non ha esitato a dire che per il suo giornale non furono soltanto “sconfitte”, ma vere “tragedie”, nel senso che addolorarono e sconvolsero emotivamente non soltanto i parenti prossimi ma anche la redazione di poco più di venti redattori che egli guidava. Un piccolo collettivo che condivideva gioie e dolori, come una famiglia allargata.
“Colpirono al cuore la redazione”, ha scritto, sia il sequestro De Mauro che l’assassinio di Spampinato, “nostro corrispondente di Ragusa, un giovane cronista di talento che si era assunto il compito rischioso di indagare sulle propaggini siciliane delle trame nere”, “ma fu la tragedia De Mauro a sconvolgere letteralmente il nostro ‘piccolo mondo’ dell’Ora”.
Mauro De Mauro, ha ricordato Nisticò, era un “giornalista completo” capace di spaziare brillantemente sui più diversi settori, dal calcio, ai servizi di attualità scientifica, alla mafia e sviluppava più di tutti i filoni della storica inchiesta del 1958. Il giornale fu sconvolto, ha spiegato, innanzitutto a causa del grande vuoto che lasciò nella redazione. Lui e i suoi collaboratori furono sconvolti ancor di più quando fu chiaro che le indagini giravano a vuoto, quando si resero conto di “non riuscire a prendere in mano il filo degli eventi” e provarono “una sensazione di impotenza professionale, fastidiosa e snervante”. “Il fatto di non aver saputo o potuto capire ciò ch’era esattamente accaduto lo avvertivo come un affanno doloroso”, ha confessato, ammettendo che nel suo giornale “ci fu qualche eccesso di prudenza, come il timore di intralciare le indagini; né mancarono difficoltà di varia provenienza, come alcuni atti ostili della polizia e l’improvviso sconcertante distacco dei famigliari di Mauro”.
Posso testimoniare che questo senso di dolore, di impotenza e di frustrazione dominava ancora la redazione dell’Ora in cui cominciai a lavorare nel 1974. Non potevo non notarlo, animato com’ero dall’intento di scoprire perché i colleghi di mio fratello, quei genii del giornalismo, non avevano capito in quale trappola mortale egli si stava cacciando, perché non lo avevano fermato in tempo. Mi ero impegnato a scoprirlo da me, lavorando a fianco dei colleghi di mio fratello. Vittorio Nisticò mi aveva accolto con il suo modo burbero. Mi aveva inserito nella redazione e poi nella cooperativa editoriale, credo in omaggio al nome che portavo. Conosceva il tarlo che mi rodeva. Aveva finto di non capire che volevo fare quell’indagine e anche lui cercava le stesse risposte, come ho capito molti anni dopo. Le risposte, almeno alcune, le ho trovate e ho fatto in tempo a condividerle con lui, prima di pubblicarle nel mio libro (“C’erano bei cani ma molto seri”, 2009).
Quando trovai la forza di fare la mia parte per restaurare pubblicamente la memoria di mio fratello, Vittorio Nisticò mi aiutò. A novembre del 2002 mi accompagnò nella mia Ragusa, lì dove era stato ucciso, dove lui non era mai andato. Al convegno che avevo voluto organizzare a tutti i costi per celebrare il 30.mo anniversario della morte di Giovanni, disse:
“Il 27 ottobre del 1972, due anni dopo i dolorosi fragori del “caso De Mauro”, vanificatosi nel nulla, l’uccisione di Giovanni Spampinato scaricò addosso alla comunità del giornale L’Ora un altro fardello di pena e di lutto. Ma aggiunse anche al giornalismo un’altra pagina autentica, essenziale nella sua semplicità, e insieme epica, da consegnare alla storia nazionale. Giovanni era il più giovane e il più promettente dei nostri corrispondenti. Faceva parte della generazione arrivata da noi sull’onda del Sessantotto. Visse una straordinaria avventura: di cronista impegnato fino al punto di pagare col sangue l’esercizio di un giornalismo fatto di passione civile e di coraggio. Ricordo ancora la redazione, tesa e quasi ammutolita, preparare l’edizione con la notizia della sua uccisione. Il nostro titolo a tutta pagina fu: “Assassinato perché cercava la verità”. Una constatazione comune attraversò come un lampo i nostri pensieri ed io ne accennai nel breve editoriale che improvvisai sul bancone della tipografia: ‘Ancora il tragico segno della violenza lungo il duro cammino di questo giornale…’. L’emozione per l’uccisione del giovane Spampinato fu enorme. Se ne ebbe un significativo eco anche nel mondo giornalistico, solitamente cinico. Sull’onda di quell’emozione, alla fine del 1972 i giornalisti di Milano assegnarono alla nostra redazione il celebre Premiolino. Quel premio era dedicato anche a Giovanni. Al Bagutta, dove ritirai quel premio accompagnato da Vincenzo Consolo, il nostro piccolo giornale visse un attimo di gloria grazie a Giovanni Spampinato”.
Aveva meditato a lungo quelle parole, si era consultato con Mario Genco e le aveva messo puntigliosamente per iscritto. Dalla procedura, dalle frasi, traspare il pudore, la difficoltà, con cui il mio indomito direttore parlava delle sue emozioni e di quelle lontane vicende.
Lo stesso pudore, la stessa riservatezza avevano gli altri giornalisti che avevano condiviso quelle lontane vicende. Alcuni avevano conosciuto mio fratello e non riuscivano a parlarmi di lui. Alcuni compensavano quel silenzio riservandomi gentilezze, attenzioni, manifestazioni di affetto che dicevano più delle parole. Qualcuno è riuscito a dire qualcosa soltanto dopo la pubblicazione del mio libro.
Le tre tragedie dell’Ora hanno pesato in modo ambivalente sul destino del piccolo giornale di opposizione, rafforzandone l’autorevolezza, ma anche fiaccandone le forze. Esse dicono nel modo più evidente quale battaglia senza fine e senza quartiere, in quegli anni, L’Ora ha combattuto, contro la corruzione, le collusioni politico-affaristiche, la mafia, l’omertà, dimostrando quanto il giornalismo professionale possa essere potente e quali rischi comporta esercitarlo senza compromessi. Una battaglia oggi inimmaginabile che è importante ricordare e documentare anche per comprendere i problemi del giornalismo dei nostri giorni.
ASP
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