Libertà di stampa nel mirino di governo e maggioranza. L’Europa discute “caso Italia”
Dalla censura allo scrittore Scurati alle querele dei potenti, alle proposte di pene detentive e punizioni per i titoli, alla rettifica senza commento
OSSIGENO 4 maggio 2024 – Il governo e la maggioranza stanno lavorando ai fianchi la libertà di stampa. Cioè, il diritto dei cittadini a essere informati su fatti e idee di interesse pubblico. Un’operazione lucida, preordinata, studiata a tavolino, concentrica. La centrale di comando è a Palazzo Chigi, il braccio armato è insediato nelle commissioni parlamentari di Camera e Senato. Segue l’Intendenza, strategicamente appostata nelle retrovie dei mezzi di comunicazione: dai giornali di carta al web, passando dalle televisioni. La Rai guida le truppe.
Gli strumenti sono i più vari: dalla censura – la vicenda Scurati è un caso di scuola – all’occupazione delle televisioni pubbliche, dalle querele a raffica dei potenti contro i giornalisti alle norme di legge per mandarli in galera o per ridurli in miseria. L’obiettivo è sempre lo stesso: i cittadini non devono sapere certe cose, il pluralismo delle idee deve essere bandito. Se ne parla fuori dai sacri confini della Nazione. In Europa esiste un “caso Italia”.
Il disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa per il momento è stato messo in sonno. E non è detto sia un guaio, considerato ciò che i maldestri senatori della maggioranza stavano confezionando in commissione Giustizia: più galera per tutti. Fermi tutti, ha ordinato il governo. A chiudere i conti con i giornalisti che si credono autonomi e indipendenti dal potere ce la vediamo noi, da Palazzo Chigi. Il “piattino” che stanno preparando è particolarmente raffinato e insidioso perché colpirà direttamente il vertice della catena gerarchica delle redazioni: direzioni e editori, attraverso norme penali severe sulla titolazione degli articoli e sull’obbligo di rettifica senza possibilità di replica e di risposta. Probabilmente non sbaglia chi sostiene che la cosa migliore per la libertà di stampa è che tutto resti com’è, carcere compreso secondo quanto è previsto dal Codice penale, articolo 595. La norma più punitiva – l’articolo 13 della legge sulla stampa – è già stata eliminata dall’ordinamento dalla sentenza del 2021 della Corte costituzionale.
E, a proposito di Corte costituzionale, l’andamento dei lavori in commissione Giustizia del Senato dimostra in modo plateale e indisponente in qual conto il governo e la maggioranza tengono le sentenze del “giudice delle leggi”. Segnatamente quella sul diritto all’informazione e sul bilanciamento con il diritto alla reputazione, la n. 150 del 2021.
Ma il catalogo non finisce qui, perché tra Forza Italia e Azione si è aperta la gara a chi mette nell’ordinamento più anni di galera per i giornalisti. L’occasione alla Camera è data da un disegno di legge sulla cybersicurezza. Con l’occhio esplicitamente rivolto all’inchiesta del quotidiano Domani sui rapporti tra il ministro della Difesa e l’industria delle armi, si propongono fino a otto anni di galera per i cronisti che pubblicano notizie riservate conoscendone la provenienza non lecita. Il reato così configurato è anche umiliante: ricettazione. Anche in questo caso il governo è intervenuto per ordinare l’alt e riservandosi “una riflessione”. Molto probabilmente è un gioco delle parti, tipo poliziotto buono e poliziotto cattivo. L’obiettivo è comune ai due: in questo caso la libertà di stampa da frenare, limitare.
L’irrefrenabile desiderio manettaro ignora (o finge di ignorare) che nel 2019 la seconda sezione penale della Cassazione ha pronunciato una sentenza nella quale è affermato un principio relativo proprio ai mezzi – non leciti – per reperire una notizia. La premessa è che si tratti di fatti veri e di interesse pubblico. En passant, diciamo che la vicenda processuale non era nemmeno troppo commendevole e riguardava giornali e giornalisti di destra. Per ‘carità di patria’ non la raccontiamo, ma chi ne volesse sapere di più deve cercare la sentenza n. 38277 del 7 giugno 2019, depositata il 19 settembre dello stesso anno.
Torniamo al principio giuridico in essa contenuto: la causa di non punibilità (articolo 51 del Codice penale) nel caso di esercizio del diritto di cronaca può essere riconosciuta anche in relazione ai reati commessi per procurarsi la notizia. Nello specifico del fatto giudicato, il reato di ricettazione. Quindi, la scriminante del diritto di cronaca non si applica soltanto al reato commesso attraverso la pubblicazione della notizia, ma anche ai sistemi impiegati per procacciarsela.
È certamente una sentenza innovativa che interviene (anche) nel rapporto tra il giornalista e la fonte. In tutte le democrazie degne del nome questo rapporto è considerato sacro e sacro vuol dire intoccabile. Ma non qui da noi. E a ben vedere quella norma manettara che Forza Italia e Azione (ma dietro c’è il governo) vorrebbero introdurre interviene esattamente nel circuito fonte fiduciaria-giornalista. Per spezzare quel rapporto. E un cronista senza fonti diventa un passacarte. E il diritto all’informazione “pietra angolare della democrazia” e il giornalista “cane da guardia della democrazia”? Giaculatorie, buone per le celebrazioni e per la propaganda. GFM
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