Iran, due giornaliste arrestate, rischiano la pena di morte
Luciana Borsatti parla di queste vicende nel libro “Iran. Il tempo delle donne”, Castelvecchi, 2023
OSSIGENO – 13 GIUGNO 2023 – Niloofar Hamedi ed Elaheh Mohammadi sono state le prime a dare notizia della morte e dei funerali di Mahsa Amini,. I loro volti sono ritratti insieme in una foto, ormai iconica in cui sorridono serene, con il viso incorniciato da un leggero velo, portato con quell’eleganza che solo le donne iraniane sanno avere. Per un velo forse portato male la giovane Jina Mahsa Amini è stata arrestata dalla polizia morale ed è morta una paio di giorni dopo, il 16 settembre, in ospedale.
Non sono certe le ragioni di quel decesso, ma sembra che il malore fatale della giovane curdo-iraniana si sia verificato inducendo uno stato di coma, mentre era trattenuta nei locali della polizia.
Niloofar Hamedi ha fotografato i genitori di Jina mentre si abbracciavano nel corridoio dell’ospedale, dopo aver saputo che la figlia era morta, e con quella foto ne ha dato notizia all’Iran e al mondo intero.
Elaheh Mohammadi ha seguito i funerali della ragazza nella città curda di Saqqez, da dove è cominciata la lunga ondata di proteste del movimento Donna Vita Libertà di cui hanno dato ampiamente conto anche i giornali italiani, che nella stragrande maggioranza dei casi si sono dovuti accontentare di riportare le notizie diffuse dai social media, dalla comunità iraniana all’estero e dai media internazionali a loro volta in contatto con attivisti all’interno del Paese. Infatti, in quel periodo e a lungo, è stato impossibilità per i giornalisti stranieri ottenere visti per recarsi in Iran. Le ambasciate iraniane hanno ricominciato a rilasciare visti giornalistici a febbraio.
Niloofar Hamedi lavora per Shargh, mentre Elaheh Mohammadi lavora per Hamihan, due quotidiani di area riformista. Entrambe sono state arrestate a settembre e accusate di gravi reati: collaborazione con il governo “ostile” degli Stati Uniti, collusione per commettere crimini contro la sicurezza nazionale e propaganda contro il regime: reti per i quali è possibile emettere una condanna a morte. I due distinti processi in cui sono imputate sono cominciati il 29 e il 30 maggio davanti alla sezione 15 della Corte rivoluzionaria di Teheran, presieduta dal giudice Abolghasem Salavati, noto per le sue dure sentenze contro attivisti e giornalisti.
Secondo i legali iraniani che seguono il caso, alle due reporter sono state negate le fondamentali garanzie del giusto processo, previste anche dai codici della Repubblica Islamica. Un legale intervistato da Iranwire, sostiene che l’accusa di collusione contro il sistema sarebbe in contraddizione con il fatto che i due processi si celebrano separatamente. Le due giornaliste, a quanto sembra, hanno incontrato i loro legali soltanto il 28 maggio e perciò i legali non hanno avuto modo di preparare in tempo la loro difesa. L’udienza è stata aggiornata a data da destinarsi, mentre la loro detenzione cautelare, iniziata otto mesi fa – e in parte trascorsa in isolamento – starebbe superando i limiti di legge. Inoltre il loro caso avrebbe dovuto essere giudicato da un tribunale ordinario e non da una Corte rivoluzionaria, per la quale i processi sommari sono la norma. Prima dell’inizio dei due processi, l’International Federation of Journalists (IFJ) e la Teheran Province Journalist Association avevano chiesto invano che le udienze fossero pubbliche e non a porte chiuse.
Le due croniste hanno ricevuto vari riconoscimenti internazionali, fra i quali il Premio Unesco per la libertà di stampa intitolato all memoria del giornalista colombiano Guillermo Cano, assassianto nel 1986 dai narcotrafficanti. Con loro, è stato premiato anche Narges Mohammadi, giornalista e vice-direttrice della Ong Defenders of Human Rights center – in carcere a Evin per scontare una pena a 16 anni. Quest’ultima ha continuato a lavorare anche dal cercare, raccogliendo interviste tra le altre detenute poi pubblicate nel libro “White Torture”. L’anno scorso è stata premiata anche da Reporters senza frontiere.
Il CPJ calcolava nel febbraio scorso che un centinaio di giornalisti iraniani erano stati arrestati per aver coperto le proteste cominciate a settembre, con il rischio di condanne al carcere e frustrate. Circa la metà risultavano poi rilasciati su cauzione. Ma gli arresti di giornalisti continuano tuttora. tanto che negli ultimi tre mesi ne sono stati arrestati almeno altri quattro, oltre a una giovane vignettista. LB
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