In Italia la “censura violenta” è molto estesa e non colpisce soltanto i giornalisti
Il testo integrale dell’intervento di Alberto Spampinato in occasione del conferimento del Premio della Fondazione Critica Liberale sulla libertà di stampa, a Ossigeno per l’Informazione (vedi)
OSSIGENO 14 luglio 2021 – Pregiudizi e cattiva coscienza ci impediscono di vedere anche cose che balzano davanti ai nostri occhi, fra le altre cose un dramma che si ripete tutti i giorni, nelle nostre città, nell’Occidente più moderno e sviluppato: il dramma della censura imposta con la violenza e con abusi inammissibili negli stati di diritto.
Sono decine ogni anno i giornalisti uccisi mentre cercano di resistere a queste violenze ed abusi. Molti altri sono costretti a subire intimidazioni, minacce, ritorsioni. Eppure le autorità, i governi, le istituzioni pubbliche non fanno ancora tutto ciò che avrebbero il dovere di fare per contrastare questo fenomeno. Eppure i media prestano poca attenzione a questi fatti. Eppure la consapevolezza del fenomeno è piuttosto limitata.
Non si sottolinea abbastanza alcune caratteristiche essenziali di questo triste fenomeno:
- il bersaglio principale di queste violenze sono i giornalisti che pubblicano notizie e opinioni sgradite al potere, ai potenti;
- gli aggressori sono persone che vogliono impedire a ogni costo la pubblicazione di informazioni sgradite a loro o ai loro mandanti.
- fra questi aggressori ci sono criminali, ma anche molti personaggi pubblici che, per raggiungere i loro scopi, non esitano a usare la violenza e ad abusare di leggi anacronistiche, di inadempienze, di procedure inadeguate.
- molte aggressioni e intimidazioni rimangono impunite. Raramente gli aggressori sono perseguiti e puniti.
- il 2 novembre di ogni anno si celebra una Giornata Mondiale indetta dall’ONU Per denunciare questo gravissimo problema e chiedere a tutti i Governi di mettervi fine. In molti paesi – anche in Italia – l’impunità ha reso la censura imposta con la violenza e con gli abusi lo strumento più efficace per impedire la circolazione di notizie che disturbano il potere, la politica, gli affari, le carriere personali.
- le minacce e le ritorsioni contro i giornalisti hanno l’effetto di oscurare notizie di indubbio interesse pubblico, realizzando una censura molto più ampia di quanto si crede, anche nei paesi democratici come l’Italia.
Il silenzio che avvolge il fenomeno, la sostanziale tolleranza delle autorità che ne permette la propagazione, la disattenzione della società civile che subisce senza neppure protestare sono perciò inspiegabili.
Al silenzio si aggiunge la minimizzazione. È facile fare credere che il problema riguardi poche persone, soltanto i giornalisti e fra loro quelli più faziosi e imprudenti. Non è così. I giornalisti minacciati (che pure sono numerosi) sono soltanto le vittime più dirette della censura violenta. Essa in realtà colpisce direttamente anche molti intellettuali, scrittori, attori, registi, opinionisti, attivisti, scienziati e tutti quelli che appena introducono nel dibattito pubblico informazioni e commenti fuori dal coro, idee nuove potenzialmente in grado di danneggiare determinati interessi (economici, politici o di altra natura) sono ostacolati con minacce e ritorsioni.
Ancora più numerose sono le vittime indirette della censura violenta, se consideriamo una vittima chi ne è danneggiato: i lettori dei giornali, gli utenti dei notiziari radiotelevisivi e online, gli operatori sociali, gli attivisti e tutti quelli che, a causa delle minacce, degli abusi e delle ritorsioni rivolte contro i giornalisti, non ottengono dai media informazioni che avrebbero diritto di conoscere e vedono così conculcato il loro diritto di partecipare liberamente al dibattito pubblico.
È evidente perciò che la censura violenta danneggia l’intera società, poiché limitando la libertà d’informazione, limita la partecipazione consapevole dei cittadini alla vita pubblica, È un tarlo che corrode la democrazia.
La censura violenta è quindi un problema sociale, drammatico e attuale, ma non è percepito come tale. Non è chiaro ai più che gli episodi d’intimidazione, le minacce e le ritorsioni contro i giornalisti rappresentano un fenomeno che ha matrice, dinamiche e finalità unitarie e perciò deve essere contrastato con strategie e misure specifiche. Invece molti pensano che le minacce ai giornalisti siano un insieme di fatti episodici e slegati ai quali non bisogna dare molta importanza.
Se le cose stanno così, perché le autorità e le istituzioni possono permettersi il lusso di non intervenire come sarebbero tenuti a fare?
Lo consente la limitata consapevolezza del fenomeno. Intervenire o non intervenire per impedire le intimidazioni e la censura violenta non influisce sul consenso politico, risolvere il problema o lasciarlo irrisolta non fa guadagnare né perdere voti. Ciò spiega anche perché rimangono disattese numerose Raccomandazioni a intervenire che le massime organizzazioni internazionali (Onu, Osce, Consiglio d’Europa, Parlamento europeo) negli ultimi anni hanno rivolto ai governi nazionali, richiamandoli all’obbligo positivo, (ovvero al dovere imposto dall’adesione a vari Trattati internazionali) di adottare misure di contenimento e contrasto della censura violenta.
Che cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione?
La mia opinione è la seguente: per convincere le autorità a combattere la censura violenta, è necessario fare entrare la questione nel mercato del consenso politico; è necessario farla conoscere ai cittadini per ciò che è. Sarebbe facile se facessimo leva sui fatti, se facessimo conoscere sistematicamente le violazioni più gravi del diritto d’informazione e le sue conseguenze sociali. Inoltre dovremmo tutti il coraggio di chiamare la censura violenta con il suo nome, con questo nome appropriato e significativo che fu proposto nel 2012 dal Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks (vedi ). Muiznieks ne parlò in più occasioni come di un grave problema emergente delle democrazie moderne, rilevando che era già diffuso in Europa e segnatamente in Italia come dimostrava il lavoro di Ossigeno per l’Informazione.
Se useremo sistematicamente questo nome faremo un grande passo avanti, perché dice chiaramente e in modo efficace di che cosa parliamo e ci permette di fare capire che i paesi democratici stanno covando un male che avevano messo fuori legge da quasi un secolo e che oramai dovrebbe sopravvivere soltanto nei paesi autoritari, essendo connaturato con i regimi non-democratici.
Sarebbe importante fare conoscere questo aspetto della questione. Dire che, purtroppo, i Governi dei paesi liberi e democratici, stanno lasciando rientrare dalla finestra un terribile male che avevano messo fuori dalla porta. Lo stanno permettendo ignorando l’impegno di difendere i valori liberali dello Stato di diritto da ogni minaccia (un impegno sottoscritto con l’adesione ai Trattati internazionali che lo prevedono). Queste inadempienze consentono alla censura di diffondersi come una malattia contagiosa incontrastata. Questa malattia oscura le notizie sgradite al potere, impone una censura che nessuna legge e nessun codice coerente con lo stato di diritto potrebbero consentire
Alcune cifre
Nei primi sei mesi del 2021, nel mondo, sono stati uccisi 27 giornalisti. Nel 2020 ne erano stati uccisi 58. Nel 2019 altri 57. Dal 1993 a oggi ne sono stati assassinati 1462 (vedi l’elenco completo pubblicato dall’Unesco ). In Italia fra il 1960 e il 1993 sono stati uccisi trenta giornalisti (leggi l’elenco su www.giornalistiuccisi.it )
Un bagno di sangue. Questi numeri fanno impressione ma non dicono tutto. Mostrano soltanto la punta dell’icerberg.
L’omicidio è infatti soltanto la forma più radicale di censura violenta, aa quale gli aggressori ricorrono soltanto in casi estremi, perché di solito riescono a ottenere il loro scopo senza arrivare alla soppressione fisica del giornalista scomodo, ricorrendo ad avvertimenti, minacce, intimidazioni, ritorsioni non fatali ma altamente condizionanti.
Il paradosso
Questa questione ha un aspetto paradossale che è opportuno sottolineare.
- I giornalisti che hanno subito minacce ma non hanno perso la vita, come abbiamo detto sono molti più dei 1462 giornalisti uccisi dal 1993 a oggi
- Le intimidazioni e le minacce, oltre a configurare reati e illeciti specifici, sono evidenti violazioni di un diritto codificato: sono violazioni drammatiche del diritto di informare e di essere informati sancito dall’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, e dalla Costituzione italiana che recepisce questi Trattati.
- Nonostante ciò, i media, le istituzioni, le autorità riservano ai giornalisti minacciati poca attenzione.
- Nonostante tutte le Raccomandazioni dell’Onu, dell’Osce, del Consiglio d’Europa ad agire in tal senso nessuna istituzione tiene seriamente il dovuto conto di queste intimidazioni e minacce ai giornalisti.
La negazione del problema
Soffermiamoci su quest’ultima contraddizione, l’inadempienza delle istituzioni, che giudico la più clamorosa. Il mancato impegno dei Governi nazionali ad agire per contrastate attivamente la censura violenta rafforza l’erronea ma radicata convinzione secondo la quale queste intimidazioni e minacce siano sporadiche, possano verificarsi soltanto in paesi autoritari e riguardino sempre e soltanto giornalisti imprudenti e spericolati.
Occorre impegnarsi per sfatare queste false convinzioni. Sarebbe facile farlo, dimostrando che, ad esempio, in Italia questo tipo di minacce e intimidazioni colpiscono da anni moltissimi giornalisti e ciò è stato documentato pubblicamente.
L’associazione di volontariato non governativa Ossigeno per l’Informazione è stata costituita oltre dieci anni fa proprio per svolgere questo compito. L’ha svolto creando un Osservatorio indipendente sulle minacce ai giornalisti (vedi www.ossigeno.info). Dal 2006 a oggi, quest’Osservatorio ha documentato in dettaglio e in modo innegabile oltre quattromila episodi avvenuti in Italia (di cui oltre duecento nel primo semestre del 2021) contro giornalisti che hanno agito nel rispetto della legge e dell’etica professionale. L’Osservatorio ha accertato che in Italia molte altre intimidazioni e minacce contro i giornalisti sono rimaste sconosciute e inconoscibili, per vari motivi, innanzitutto perché i giornalisti non le denunciano o preferiscono non parlarne, neppure per denunciare i torti che subiscono e chiedere aiuto e solidarietà. Quest’atteggiamento ricorda quello degli imprenditori che non denunciano le estorsioni di cui sono vittime (il cosiddetto ‘pizzo’.)
Per produrre questi dati – che per la prima volta hanno dato un volto e una dimensione al fenomeno italiano della censura violenta, Ossigeno per l’Informazione ha svolto una grande inchiesta, condotta con criteri scientifici e risultati verificabili resi pubblici in corso d’opera.
L’inchiesta ha avuto due obiettivi principali: la mappatura del fenomeno e il sostegno concreto ai giornalisti minacciati. L’inchiesta ha permesso di conoscere i nomi di migliaia di giornalisti e blogger minacciati, le circostanze di ogni violazione, le tipologie di minaccia più ricorrenti, le dimensioni spropositate e le cause principali del fenomeno. A grandi linee, una metà di queste intimidazioni e minacce si realizza con metodi violenti, commettendo reati perseguibili, e l’altra metà (quasi per intero) con abusi non perseguibili del diritto di querelare per diffamazione o di citare in giudizio per danni, facendo leva su accuse pretestuose che però costringono l’accusato ad affrontare un processo giudiziario e a sostenere spese per dimostrare la propria innocenza; il resto, con altre violazioni non perseguibili per via giudiziaria né amministrativa (in particolare con discriminazioni e penalizzazioni arbitrarie del giornalista e del suo giornale).
Il monitoraggio di Ossigeno ha indicato anche la matrice di provenienza degli attacchi: il 38 per cento da ambienti mafiosi, il resto da colletti bianchi.
Per misurare l’impunità degli aggressori, Ossigeno ha elaborato un indice che negli ultimi anni ha oscillato fra il 98 e il 99 per cento.
L’inchiesta di Ossigeno per l’Informazione è stata svolta con il metodo dell’inchiesta giornalistica e con prestazioni di volontariato professionale giornalistico, in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti.
La barriera dell’incredulità
Il monitoraggio di Ossigeno e la pubblicazione progressiva dei risultati hanno infranto la barriera del silenzio e hanno reso impossibile negare platealmente il problema, come avveniva prima. L’inchiesta ha mostrato ciò che accade effettivamente in Italia e ha suggerito ai decisori e agli stakeholders che cosa potrebbero e dovrebbero fare per arginare il fenomeno.
I dati e le analisi di Ossigeno sono stati convalidati ai massimi livelli (Osce, Consiglio d’Europa, Unesco, Commissione Parlamentare Antimafia, AgCom e altri). Sarebbe perciò il caso che adesso Governo, Parlamento, organi giudiziari, inquirenti, organizzazioni dei giornalisti iniziassero ad adottare i rimedi necessari di loro competenza.
Ciò ancora non accade. Perché?
In Italia e in Europa, istituzioni e autorità dovrebbero fare di più per combattere la censura violenta ma ancora non vogliono arrendersi alla realtà che mostra la necessità di farlo. In Italia non vogliono credere alla diagnosi pluri-confermata fornita da Ossigeno. Si affidano a osservatori più indulgenti, a medici pietosi che fingono di non vedere l’estendersi della malattia e rinviano gli interventi necessari. E intanto questa malattia che affligge la libertà di informazione continua a diffondersi, si incancrenisce, miete nuove vittime, anche nel cuore d’Europa, come dice l’assassinio di Giorgos Karaivaz, ucciso ad Atene il 9 aprile 2021, come conferma il mortale agguato del 7 luglio 2021 ad Amsterdam in cui è stato ferito Peter R. Vries, deceduto otto giorni dopo.
Questa recentissima e drammatica evoluzione del fenomeno ci ha ricordato il trauma che suscitò, nel 2017, l’assassinio di Daphne Caruana Galizia a Malta, il clima reso ancora più drammatico pochi mesi dopo, nel 2018, dalla barbara eliminazione fisica di Jan Kuciak in Slovacchia. Due omicidi che si sarebbero potuti evitare. Quegli omicidi e quel senso di sconfitta diedero una forte scossa a tutta l’Europa. Le istituzioni europee si mobilitarono, presero importanti impegni, vararono iniziative senza precedenti per prevenire l’assassinio di altri giornalisti nel Vecchio Continente.
Sono trascorsi quasi quattro anni, da allora. Bisogna dire che quel traguardo appare ancora lontano. Lo dicono molti dati. Ed è preoccupante vedere che gli assassinii di un giornalista in Grecia e di un altro in Olanda non suscitano una reazione paragonabile a quello di allora per la morte di Daphne Caruana Galizia e di Jan Kuciak, non sono accolti con la stessa mobilitazione emotiva, politica e informativa, con la stessa indignazione corale.
Anche stavolta le reazioni politiche e sociali ci sono state. Ma sono sotto tono rispetto a quelle di allora. Anche l’impegno per fornire informazioni sulle indagini e sui retroscena di questi attacchi è stato nettamente inferiore. Eppure in questi ultimi tre anni l’Europa ha messo in campo nuovi centri di osservazione incaricandoli proprio di integrare l’attività dei media su queste vicende, sulle minacce e sulle ritorsioni più gravi contro i giornalisti, sugli allarmi e gli interventi che possono aiutare i giornalisti in pericolo.
Queste reazioni sotto tono fanno una pessima impressione. Fanno pensare che in un certo senso noi europei abbiamo cominciato a rassegnarci, ci stiamo convincendo che è inevitabile subire questi atti di ritorsione estrema contro i giornalisti e dobbiamo limitarci a contrastarli con la retorica.
Spero che sia solo un’impressione, che la realtà sia diversa. Spero che i fatti successivi si incarichino di smentire in modo categorico l’impressione che l’assuefazione abbia guadagnato terreno. Ma non basta sperarlo. Bisogna impegnarsi affinché i fatti smentiscano la brutta impressione. Bisogna mobilitare tutti i difensori della libertà e dello stato di diritto. Bisogna convincere tutti coloro che puntano sulla rassegnazione che questa battaglia si può vincere facendo in ogni paese ciò che necessario ed è possibile fare in ogni paese, applicando le Raccomandazioni delle istituzioni internazionali finora inapplicate. Bisogna aiutare gli increduli a superare la loro incredulità (più o meno sincera) che non ha alcuna ragione di essere.
Oggi questa incredulità è la barriera che impedisce di affrontare e risolvere il problema. È la barriera da abbattere.
Come superare questo stallo
Occorre che le forze sociali, le vittime indirette della censura violenta, facciano sentire la loro voce. Occorre rendere più ampia la consapevolezza del fenomeno. Occorre diffondere più ampiamente il patrimonio di conoscenze e i dati di fatto accertati da Ossigeno e convalidati da autorevoli istituzioni.
Questa è la sfida per chi vuole difendere la libertà di stampa e di espressione dalle intimidazioni che assediano giornali e giornalisti.
Ossigeno spera di trovare amici e alleati disposti a cimentarsi in questa sfida. Ossigeno mette a disposizione le sue numerose basi di dati, le analisi e gli studi che spiegano che cosa rende possibile ciò che, in punto di diritto, nel nostro paese sarebbe impossibile: lacune legislative, leggi anacronistiche e contraddittorie, omissioni, rinuncia a impiegare atti di contrasto attivabili, il debole stato giuridico dei giornalisti, il loro precariato economico, la mancanza di solidarietà.
Alberto Spampinato, Giornalista, presidente di Ossigeno per l’Informazione
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