Ingrandimenti

I potenti fari dell’informazione e Il buio sulle mafie

Perché quei riflettori sono puntati altrove? – Le risposte che non spiegano – Cosa ha messo in luce una ricerca di Ossigeno

OSSIGENO – 22 gennaio 2024 – Sono molti i fenomeni sociali e i grandi problemi irrisolti che ci affliggono, che vorremmo conoscere meglio, che però rimangono in ombra perché i potenti riflettori dell’informazione (e anche quelli della ricerca, che ha istituzioni e strumenti rivelatori altrettanto potenti) sono quasi sempre puntati altrove. Ci mostrano soltanto le cosiddette emergenze, che sono solo le eruzioni cutanee causate da quelle malattie che li generano.

E’ un grande problema della società dell’informazione in cui viviamo immersi. Sommandosi alle lacune della scuola, il buio informativo limita la partecipazione consapevole di noi cittadini alla vita pubblica.

In Italia, fra queste questioni che ci riguardano collettivamente e che spesso non riusciamo a conoscere e a comprendere come vorremmo, c’è il tema drammatico del radicamento criminale delle mafie nel nostro paese (non solo al Sud, come dice la mappa delle amministrazioni comunali sciolte dal governo per le infiltrazioni della criminalità organizzata VEDI L’ELENCO). C’è l’influenza venefica delle mafie sulla vita sociale. Ci sono i fenomeni (spesso connessi) di corruzione, che permettono di impadronirsi della ricchezza pubblica e delle stesse istituzioni.

E’ evidente, ma non è una percezione comune, che su questi fenomeni i notiziari radiotelevisivi, i giornali e i giornalisti producono molte meno informazioni di quante potrebbero, di quante dovrebbero, di quante sarebbero utili ai cittadini per orientarsi, per difendersi. Questa valutazione non è ampiamente condivisa. Ma è comprovata.

Perché i riflettori dell’informazione non illuminano questo scenario? Innanzitutto per paura, minacce, ritorsioni, connivenze, leggi punitive e scoraggianti per i cronisti, per l’intolleranza con cui viene accolto il lavoro di chi racconta queste cose, di chi scopre altarini, affari oscuri, omissioni, complicità esercitando legittimamente il diritto di informazione.

Queste appena elencate sono, a giudizio degli esperti, le ragioni principali, vere, spesso taciute o mascherate con false motivazioni che cercano di sminuire le responsabilità di chi punta altrove i riflettori, e presenta la propria scelta di tacere come se fosse puramente oggettiva, inevitabile.

Così, ad esempio, più spesso di quanto si possa immaginare, editori e direttori negano spazio a questi temi e dicono a chi chiede spiegazioni che non c’è niente da spiegare. Dicono che ai loro lettori/spettatori non interessa leggere notizie sui retroscena della mafia, sul brodo di coltura della corruzione, sulle zone grigie che circondano la legalità.

Tutto ciò è emerso in modo chiaro, perfino didascalico, dalla ricerca dal titolo “Molta mafia, poche notizie” realizzata dall’associazione di volontariato Ossigeno per l’informazione con il sostegno della Commissione Europea, su incarico del Centro Europeo per la libertà di Stampa e dei Media di Lipsia (ECPMF).

Per realizzare questa ricerca è stata condotta una Missione di Accertamento dei Fatti (Facts Finding Mission). Per raccogliere le informazioni e i pareri di esperti, magistrati, parlamentari, rappresentanti del governo, giornalisti, sono state realizzate 25 interviste strutturate. Le risposte hanno offerto un’ampia panoramica di punti di vista sui diversi aspetti del problema.

Il quadro che emerge è impietoso quanto una radiografia su un corpo malato. Ma la diagnosi non è del tutto negativa. Dice che l’Italia, insieme alla malattia, possiede anche rimedi migliori di quelli disponibili in altri paesi e ha anche i laboratori più impegnati a studiare la ricerca di “farmaci” ancora più efficaci.

I giornali e i cronisti locali appaiono come il bersaglio più esposto e l’anello più debole della catena informativa e, allo stesso tempo, sono l’elemento strategicamente più importante per l’informazione su questa materia.

In questo senso la ricerca conferma il quadro che Ossigeno ha documentato dal 2006 a oggi documentando, uno per uno, 7034 episodi di intimidazioni, minacce, ritorsioni, azioni legali ritorsive (soprattutto querele e cause per diffamazione a mezzo stampa pretestuose) contro giornalisti, blogger, opinionisti, attivisti dei diritti civili) eseguite con un tasso di impunità quasi assoluta (92%).

Fra i numerosi nodi da sciogliere messi in luce dal dossier, alcuni riguardano le responsabilità degli editori, altri dei direttori dei giornali, altri del legislatore, che conosce bene il problema e che di fronte alle sollecitazioni delle Nazioni Unite da oltre vent’anni discute riforme parlamentari che non vengono mai approvate.

Importanti e originali proposte sono state formulate dal senatore Federico Cafiero de Raho, intervistato mentre era il Procuratore nazionale Antimafia.  Fra l’altro ha proposto di riconoscere ai giornalisti alcune precise prerogative, per proteggerli dai rischi di ritorsione a cui sono frequentemente esposti quando pubblicano notizie scomode per i potenti, i criminali, i corrotti, in particolare per proteggerli dalle querele pretestuose e infondate. Il sistema italiano di protezione per chi subisce minacce di morte è descritto e giudicato mostrandone luci e ombre.

Con questo studio oggettivo, Ossigeno per l’Informazione ha illuminato aspetti inediti delle lacune informative sul fenomeno della mafia e della corruzione, aiutando le istituzioni impegnate a garantire la più ampia libertà di stampa e a rimuovere le cause legali e illegali per le quali molti cronisti per fare informazione sulle mafie rischiano la vita e il loro patrimonio personale.

IL QUADRO DELLE RISPOSTE DEGLI INTERVISTATI

Quanto è importante l’informazione sulle mafie? Moltissimo per il 95% dei 25 esperti intervistati da Ossigeno per il rapporto “Molta mafia, poche notizie”. Tuttavia non se ne produce abbastanza, afferma l’80% delle persone consultate. Il 40% ritiene che quella diffusa sia poca, un altro 40% la ritiene appena sufficiente. Alla domanda se la Rai faccia abbastanza in questo campo, il 50 % ha risposto con un netto “no”, l’altro 50 % con un “no comment”. Perché non si riesce a fare di meglio e di più? Il 79% degli intervistati attribuisce la colpa a giornalisti e editori, alle condizioni economiche in cui lavorano ma anche alle connivenze di alcuni di loro con la criminalità organizzata o i corruttori. Il 16% spiega la poca informazione con l’autocensura praticata per timore di ritorsioni violente, minacce, perquisizioni invasive, sequestri giudiziarie o altri procedimenti. Solo il 5% ritiene che il ridotto volume di informazioni prodotte sia dovuto alle leggi restrittive sulla diffamazione, sul segreto di indagine e sulla tutela delle fonti. Due terzi degli intervistati ritiene che alcune notizie non raggiungano le pagine dei giornali o i palinsesti perché editori e direttori rifiutano di pubblicarle. Tra le ragioni addotte per opporre questo rifiuto la metà degli intervistati cita il presunto scarso interesse dei lettori, un terzo le connivenze che esistono con gli ambienti criminali e della corruzione, il 19% la paura di incorrere in ritorsioni. È fuor di dubbio che le inchieste giornalistiche possono aprire sviluppi investigativi importanti. Il 26% degli intervistati cita il caso delle inchieste di Federica Angeli a Ostia. Il 35% ricorda le inchieste di Lirio Abbate su mafia capitale. Il 39% indica altre inchieste che hanno avuto anche esse esiti giudiziari importanti. Appare chiara anche la percezione del fatto che l’informazione giornalistica, a volte, sia stata utilizzata come un’arma impropria per danneggiare qualcuno, come una “macchina del fango”. Il 23% ricorda il caso Boffo, dal nome dell’allora direttore del quotidiano l’Avvenire preso di mira e costretto a dimettersi.

Gli intervistati ritengono pienamente attendibili i dati di Ossigeno sui giornalisti minacciati in Italia (quasi quattromila quelli accertati dal 2006 a oggi). Il 73% attribuisce in massima parte alla criminalità organizzata, in contraddizione con le statistiche di Ossigeno che ne indicano solo il 40% di questo tipo.

Due giornalisti su tre ritengono adeguato il sistema italiano di protezione dei giornalisti minacciati e il 91% lo considera il migliore del mondo. Tuttavia alcuni intervistati ne indicano un limite: è difficilmente accessibile per i cronisti che non sono classificati ad altissimo rischio ma necessitano ugualmente di protezione. Il 95 per cento degli intervistati ha dichiarato che il monitoraggio delle minacce realizzato da Ossigeno ha contribuito a rendere più sicuro il lavoro dei cronisti. ASP

Per scaricare il Rapporto in italiano, clicca qui

To download the report in English, click here

Questo articolo è stato pubblicato da “Il Telespettatore”, periodico dell’AIART, l’associazione cittadini mediali che ha sede in uno dei poli comunicativi della Conferenza Episcopale Italiana, nel N° 10/11 ottobre-dicembre  2023

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