Guerra. L’inviato Nello Scavo, come lavoriamo in Ucraina
La legge marziale, la strumentalizzazione delle notizie, le campagne contro i cronisti sul campo
OSSIGENO 14 aprile 2023 – Nello Scavo, inviato del quotidiano della Cei ‘Avvenire’ in Ucraina, ha partecipato con un video-messaggio al Convegno di Ossigeno “Roma ricorda Ilaria Alpi e gli altri giornalisti uccisi perché cercavano verità nascoste”, tenuto a Roma il 22 marzo scorso presso la Casa del Jazz, in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti del Lazio, la Fondazione Musica per Roma e il Comune Roma Capitale. Rivedi qui
Il cronista ha portato la sua testimonianza di reporter di guerra focalizzando sull’importanza del giornalismo sul campo, quello che racconta senza pregiudizi e partigianerie ciò che avviene in un certo luogo in un dato momento, e sulla gestione dei rischi e delle difficoltà che questo comporta. C’è, ha detto, l’aspetto dei freelance che non si possono permettere di costo di una assicurazione ma vanno lo stesso in una zona di guerra, e ci sono le violente campagne mediatiche di discredito di cui molti giornalisti sono stati oggetto nell’ultimo anno. E c’è la paura che si vada oltre. “Il grande timore è che prima o poi qualcuno decida di sporcarsi le mani”. L’inviato di ‘Avvenire’ ha ringraziato Ossigeno per il lavoro che svolge a tutela della libertà di stampa e al fianco dei giornalisti minacciati.
Di seguito il suo intervento integrale.
NELLO SCAVO – Voglio parlarvi di che cosa sta accadendo nelle aree di conflitto, in Ucraina, dove ho trascorso gran parte degli ultimi dodici mesi. Sono ritornato da pochi giorni e ripartirò molto presto.
Nelle zone di guerra vige la legge marziale e i giornalisti devono rispettare una serie di regole. Questi aspetti sono poco conosciuti. Faccio un esempio. Quando c’è un bombardamento, non possiamo pubblicare subito le foto delle aree bombardate. Inizialmente dovevamo attendere 24 ore, adesso questo tempo si è molto ridotto. Perché? Ci viene spiegato che questo potrebbe fornire informazioni a chi deve aggiustare il tiro, valutare i danni causati e colpire nuovamente, dirigendo i lanci dell’artiglieria o dei missili con maggiore precisione. Non sappiamo in realtà se sia esattamente così perché nel 2023 immagino che vi siano anche altri sistemi, a cominciare dai satelliti o dai droni spia per fare queste valutazioni. Però questo dice molto delle difficoltà di un corrispondente di guerra nel fare comunicazione e soprattutto del lavoro dei miei colleghi che hanno necessità di trasmettere le immagini. Conta molto meno per un giornalista della carta stampata come me.
In Ucraina, tutto sommato, devo dire, abbiamo avuto una grande libertà di movimento. Quando ci spostiamo, parlo della mia esperienza, oramai di oltre un anno, non abbiamo bisogno di farci accompagnare dai militari né dobbiamo di scegliere i luoghi da raggiungere insieme ai militari, per quanto ci siano delle aree off limits. Sta anche all’intelligenza del giornalista, alla sua responsabilità, spiegare dove ci è permesso di arrivare e dove no.
Mi preoccupa moltissimo la sicurezza dei giornalisti, che è poco raccontata. Ci sono infatti tanti miei colleghi freelance che sono costretti in qualche modo a lavorare senza assicurazione personale, perché le assicurazioni sono diventate molto costose e perché le testate giornalistiche spesso non sostengono (come gli editori dei giornali dovrebbero responsabilmente fare) le esigenze (degli inviati in Ucraina, ndr) dei collaboratori esterni, di garantire che essi lavorino in condizioni quanto meno di sicurezza non solo formale.
Poi c’è la grande domanda: che cosa non sappiamo esattamente di quello che accade in questo conflitto, come in tanti altri conflitti? La guerra in Ucraina è uno spartiacque, in questo senso. Si è visto come i giornalisti sono stati utili per documentare anche tanti crimini di guerra. Lo abbiamo visto recentemente con i mandati di cattura della Corte penale internazionale che si rifanno in parte anche al lavoro di inchiesta di tanti di noi. Naturalmente poi loro hanno svolto, con gli investigatori, una attività approfondita sul terreno, per ottenere riscontri.
A volte le storie dei giornalisti vengono utilizzate per dire che sono schierati per una parte o contro l’altra, anche se semplicemente stanno facendo il loro mestiere, che è quello di approfondire. A me è capitato, lungo tutto quest’anno, a seconda dei servizi che ho pubblicato, di essere definito pro-russo oppure appiattito sulla propaganda ucraina.
Che cosa è cambiato in questo anno?
Si è dato molto peso alle ‘cronache a distanza’, di chi non era sul terreno e magari pensava di poter raccontare questa guerra con schemi di altri conflitti. In questa guerra ci sono molte differenze. Se non altro, così si è riscoperta la necessità del giornalismo sul campo. Esserci e stare accanto alle persone, ascoltarle non vuol dire necessariamente parteggiare per un generale o per un altro.
La nostra grande difficoltà è stata quella di essere su entrambi i fronti, proprio perché ci sono state limitazioni da una parte e dall’altra. Se stai in Ucraina hai difficoltà ad accedere al lato russo, se lavori sul lato russo hai difficoltà ad accedere al lato ucraino. Questo naturalmente è un problema in più, credo che sia anche un problema di diritto internazionale.
L’onestà di ciascun cronista deve essere quella di dire al proprio lettore ‘io mi trovo in questo luogo, ti racconto tutto quello che vedo in questo luogo’. E quest’anno di cose ne abbiamo viste e ne abbiamo raccontate tante e purtroppo molte altre ne dovremo raccontare ancora.
Ancora grazie a tutti voi di Ossigeno per il vostro lavoro. Spero che ci sia una sensibilità sempre maggiore per la nostra presenza in quei territori. Perché quello che riscontriamo ha una ricaduta nel nostro paese in termini, se volete, anche di piccole e grandi persecuzioni che avvengono sui social network.
Alcuni giornalisti sono stati querelati dai governi attraverso le ambasciate. Si creano campagne mediatiche di discredito, alcune anche particolarmente violente, e io non sono sicuro che le cose si possano risolvere sempre con diatribe online.
Il grande timore è che prima o poi qualcuno decida di sporcarsi le mani.
Nello Scavo
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