Giuseppe Fava non era solo un giornalista ma un mentore della coscienza critica
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Sarah Vantorre ha studiato le opere filmiche, teatrali e letterarie e l’azione politica e sociale del cronista ucciso a Catania e ha scritto questo articolo per il sito Ossigeno – Cercavano la verità
OSSIGENO 28gennaio 2022 – di Sarah Vantore
Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. […] Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento! […] Dove c’è verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà! (Da: Giuseppe Fava, Giornale del Sud, 11 ottobre 1981)
Giuseppe Fava pubblicò queste famose parole l’11 ottobre 1981, in Lo spirito di un giornale, un articolo che potrebbe essere considerato il manifesto del suo concetto etico del giornalismo. L’articolo segnava il culmine di anni di lotta contro un sistema mediatico monopolistico e collusivo in cui gli interessi privati dei proprietari prevalevano sulla libertà giornalistica e sulla libertà di parola dei loro dipendenti. Fava chiedeva che il giornalismo fosse un partecipante attivo, coraggioso e aperto della società siciliana piuttosto che un portavoce dei suoi rappresentanti più potenti e che si assumesse la responsabilità di svolgere tale ruolo.
Anche se Fava scrisse l’articolo più di quarant’anni fa, il suo contenuto non sarà e non dovrà mai essere obsoleto. Ci ricorda ancora che un impegno esplicito per proteggere il quarto potere è rilevante e necessario anche in paesi europei con forti costituzioni democratiche. Spiega che, nonostante la responsabilità etica dei giornalisti verso la verità, è importante riconoscere le molte pressioni esterne sotto le quali operano, anche oggi. La citazione di Fava suggerisce che conoscere la verità – da giornalista o semplicemente da essere umano – implica una grave responsabilità, un dovere di azione trasformatrice sulla realtà testimoniata o documentata. Di conseguenza, rimanere passivi di fronte alla verità potrebbe essere considerato come una forma di complicità nella continuazione della sofferenza, dell’oppressione e dell’ingiustizia sociale.
Durante tutta la sua carriera giornalistica, e specialmente come direttore del Giornale del Sud e de I Siciliani, Fava ha fatto la storia del giornalismo. Il suo talento, la sua intelligenza sociale, la sua visione e il suo stile hanno prefissato uno standard incredibilmente alto, che lo rende un esempio ineguagliabile che continua a ispirare molti giornalisti ancora oggi. L’impegno giornalistico di Fava è stato portato avanti in primo luogo dalla sua redazione, da un gruppo di giovani giornalisti della generazione dei suoi figli che a loro volta hanno ispirato e fatto da mentore a generazioni di giornalisti ancora più giovani. Diversi siti di informazione antimafia contengono ancora riferimenti e omaggi al giornalismo d’inchiesta socialmente impegnato di Fava.
Eppure, molte delle verità che Fava ha svelato e che ha reso parte del discorso pubblico non potevano essere contenute solo in termini strettamente giornalistici. Per cogliere e rendere meglio la condizione umana dietro i mali della sua società, Fava documentò la realtà attraverso molti altri canali creativi. I suoi saggi, i suoi romanzi, le sue opere teatrali, i suoi film e i suoi dipinti offrono ancora oggi strumenti utili per leggere, svelare e comprendere la realtà stessa e per indagarla con spirito critico. Stimolano i lettori ad avere il coraggio di affrontare i propri oppressori interni, di combattere la rassegnazione e l’inazione propria e dei propri concittadini di fronte all’ordine sociale disumanizzante e ingiusto all’interno della loro realtà contestuale. Offrono chiavi emancipative per prendere coscienza in modo critico delle cause e delle conseguenze del fenomeno mafioso e della propria responsabilità individuale di contribuire attivamente a cambiare il corso della storia.
In questo modo, Fava ha catalizzato la coscienza critica e la speranza a Catania e in Sicilia, da cui sono scaturite forme contemporanee di impegno antimafia controcorrente. Potrebbero ispirare i lettori contemporanei fuori dalla Sicilia a scrivere una contro-narrazione di speranza.
Dieci anni fa, leggere per la prima volta i reportage giornalistici, i romanzi e le opere teatrali di Fava mi ha resa – una giovane dottoranda di Anversa – molto più sensibile a quelle dinamiche sociali che minano la democrazia e la libertà nella società contemporanea belga e nella mia città natale. Mi ha resa più consapevole del modo in cui, per decenni, la società civile e le classi politiche non hanno investito sufficientemente nella coesione sociale. Questo ha fatto sì che certi giovani resistessero in modo distruttivo alla società in cui erano nati e cresciuti, ma dove non si erano mai sentiti veramente ascoltati, accettati, riconosciuti, rispettati e sostenuti.
Le opere di Giuseppe Fava mi hanno insegnato il vero significato, la necessità e l’impatto dell’impegno di “antimafia sociale”. Mi hanno fatto capire che la società civile non ha solo il dovere di combattere la criminalità organizzata. Ha anche il dovere di guardare criticamente i problemi nella loro realtà contestuale, di fare introspezione e di avere il coraggio di scoprire la realtà umana e le storie drammatiche dietro le statistiche sulla criminalità. Quindi, ha anche il dovere di investire nella giustizia sociale, nella coesione sociale, nell’occupazione e nella prevenzione della dispersione scolastica. Queste possono essere armi veramente potenti contro le organizzazioni criminali che sfruttano la miseria e la disperazione degli altri. “Dove c’è verità, si può fare giustizia e difendere la libertà”…
Non passa iniziativa della nostra associazione senza che io mi ricordi e mi senta sostenuta da una delle tante saggezze e intuizioni che Giuseppe Fava ha trasmesso attraverso i suoi scritti. Sarò, perciò, sempre riconoscente per aver conosciuto Elena Fava, che mi ha aiutato a scoprire le diverse sfaccettature dell’opera intellettuale di suo padre. Auguro lo stesso a tanti altri. È quindi di grande valore sociale che la famiglia di Giuseppe Fava, attraverso la Fondazione Fava, continui a lavorare per rendere le sue opere e il suo archivio accessibili al grande pubblico.
Secondo Francesca Andreozzi, nipote di Fava e ora presidente della Fondazione Fava, “l’umanità di Giuseppe Fava, così come il motivo e la violenza della sua uccisione, hanno reso la sua morte non solo una terribile perdita personale per la sua famiglia ma anche una perdita collettiva per la società. Pertanto, anche la sua eredità dovrebbe essere collettiva. Consiste nei suoi scritti, ma anche nel suo curioso spirito di indagine, la lente attraverso cui guardava la società e la Sicilia, che i suoi lettori sono liberi di adottare o meno”.
Francesca ha seguito l’esempio di Giuseppe Fava, non diventando giornalista anche lei ma trovando il suo modo autentico di usare il suo talento per contribuire all’interesse collettivo, a una maggiore giustizia sociale e alla tutela del bene comune. E questo è il messaggio che vuole trasmettere, sia nella sua attività quotidiana di terapeuta per giovani socialmente vulnerabili, sia nella sua veste di presidente della Fondazione Fava: “Tutto quello che farai nella vita dipende dalle tue scelte personali”. Ogni singolo individuo nella società deve perseguire e acquisire la propria libertà individualmente, attivamente e responsabilmente.
Questo ci riporta a Lo spirito di un giornale di Fava. Il suo concetto etico del giornalismo coincideva con la sua concezione etica della vita. Il pubblico al quale Fava comunicava più direttamente il suo punto di vista su cosa significasse veramente vivere in libertà e in dignità aveva l’età dei suoi figli e dei più giovani ancora. A loro si rivolgeva con i suoi discorsi più appassionati. Erano loro che coinvolgeva nei suoi progetti giornalistici, perché in loro ritrovava ancora quella libertà interiore che riteneva necessaria alla sua società per combattere il fenomeno mafioso. Anche noi, la generazione delle sue nipoti, e molte generazioni a venire, potremmo trovare in Fava un maestro, non solo nel giornalismo ma anche – e soprattutto – nella vita, nella dignità umana e nella libertà interiore.
Sarah Vantorre (°1988) è la vicepresidente dell’associazione di antimafia sociale belga BASTA! – Belgian Antimafia: Steps Towards Awareness. Nel 2016 ha conseguito un dottorato in letteratura italiana presso l’Università di Anversa (Belgio) con una tesi intitolata “Verità. Giustizia. Libertà. I documenti narrativi dell’anima del Sud di Giuseppe Fava come catalizzatori della cultura antimafia contemporanea”.
LEGGI una sintesi della tesi di dottorato (PhD) di Sarah Vantorre all’Università di Anversa
LEGGI la storia di Giuseppe Fava su Ossigeno-Cercavano la verità
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