Libertà di stampa

Cronisti freelance, cioè precari senza tutele. Confronto al Festival di Ronchi

Che fare per la categoria di giornalisti che in Italia è la più numerosa, la peggio pagata e con meno garanzie per il lavoro svolto. L’intervento di Luciana Borsatti

OSSIGENO 17 settembre 2021 – Precari, sottopagati, indifesi, talvolta anche mortificati da scelte aziendali che ne sottostimano la professionalità acquisita negli anni. Questo è’ il panorama della versione tutta italiana del giornalismo freelance, ovvero dei giornalisti che non sono dipendent fissi di un giornale ma offrono occasionalmente il loro lavoro all’uno o all’altro editore. In realtà in Italia i giornalisti freelance, con poche eccezioni, costituiscono un precariato diffuso che ormai da anni fa da apripista allo smantellamento di ogni conquista sindacale. Questo quadro è emerso chiaramente venerdì 10 settembre 2021 dal dibattito su questo tema che c’è stato al Festival del giornalismo di Ronchi dei Legionari organizzato dall’associazione Leali delle Notizie, che si è concluso l’11 settembre con il Premio intitolato alla memoria di Daphne Garuana Galizia, consegnato al giornalista Paolo Berizzi da Corinne Vella, sorella della giornalista investigativa maltese uccisa nel 2017.

Il dibattito sul precariato – uno dei tanti in un festival che ha avuto 130 ospiti nazionali e internazionali, 43 incontri, 23 panel di discussione, 2 mostre, 1 masterclass, 2 letture sceniche e 14 presentazioni letterarie in 10 giorni – ha messo il dito sulla piaga dei mali dell’informazione italiana che derivano proprio da uno sfruttamento del lavoro dei freelance. Ne hanno parlato  Barbara Schiavulli, corrispondente di guerra freelance e direttrice di Radio Bullets; Fabiana Pacella, giornalista per la Gazzetta del Mezzogiorno e le Guide di Repubblica; Fabiana Martini, portavoce di Articolo 21 del Friuli Venezia Giulia; Luciana Borsatti, giornalista, rappresentante di Ossigeno per l’Informazione. A fare da moderatore Roberto Rinaldi, di Articolo 21 Trentino Alto Adige.

Il precariato – ha sottolineato Luciana Borsatti – non è solo azzeramento di tutte le regole sindacali, con retribuzioni in molti casi da fame e nessuna tutela per il giornalista, ma è anche una vera e propria minaccia ai principi della libertà di espressione, da una parte, e del diritto del cittadino ad essere informato, dall’altra. A limitare questi diritti è anche la fragilità  del freelance di fronte ad un ampio spettro di minacce e intimidazioni che si frappongono come ostacoli alla sua attività che  a volte lo può vedere impegnato a rendere note al pubblico le notizie più scomode per la criminalità organizzata e i colletti bianchi del malaffare nella politica, nella pubblica amministrazione e nell’economia. Un’altra minaccia, sempre più seria, è rappresentata dalla violenza dell’ultradestra, a causa della quale, ad esempio Paolo Berizzi (scrittore e cronista dipendente, non freelance, di Repubblica) è diventato uno dei circa 25 giornalisti italiani sotto scorta. Un’altra minaccia montante, in questi ultimi tempi di pandemia, è data dalla crescente ostilità dei no-vax e no-pass contro l’intera categoria dei giornalisti (resa più fragile da anni di delegittimazione ad opera di certe parti politiche) e dalle pesanti aggressioni ai cronisti che ne seguivano le proteste: aggressioni finite in prima pagina e che stavolta hanno messo sotto gli occhi di tutti un fenomeno che dura da decenni e che Ossigeno per l’Informazione ha sistematicamente monitorato, pur nella sostanziale indifferenza non solo del mondo politico, chiamato a legiferare, ma anche degli stessi media, che dovrebbero essere i primi a parlarne.

Oltre 4 mila sono le minacce ai giornalisti accertate e verificate da Ossigeno dal 2006 a oggi, una punta dell’iceberg rispetto a quelle che, per diversi motivi, non sono affiorate in superficie. Oltre alle minacce fisiche comprendono quelle con il vestito buono dell’azione legale, cioè le querele per diffamazione e le cause civili “temerarie”: quelle avviate cioè nella piena consapevolezza che saranno alla fine archiviate in oltre il 90% dei casi. Si tratta di una pratica sempre più diffusa, sia in Europa che in Italia, dove se ne contano circa diecimila ogni anno.

In Europa si chiamano Slapp,  acronimo inglese che sta per “azioni legali strategiche contro la pubblica partecipazione”, cioè appunto contro il diritto del cittadino ad essere informato al fine di una sua piena partecipazione alla vita democratica. In Italia le SLAPP hanno come complici la lunga durata dei processi e il fatto che, una volta archiviato il procedimento, chi lo ha avviato non paga alcun prezzo, perché i progetti di legge che avrebbero dovuto impedirlo non sono mai arrivati all’approvazione. A pagarne le spese proprio i giornalisti che da anni si sono trovati sotto la spada di Damocle di una possibile condanna penale e adi un risarcimento danni.

E’ proprio il giornalista precario il più esposto a questo tipo di intimidazioni legali, perché raramente trova il sostegno del suo editore. Per la verità neanche per i suoi colleghi contrattualizzati le cose vanno granché meglio: solo specifici accordi aziendali, che riguardano non oltre il 10% dei giornalisti italiani, offrono al cronista il sostegno anche finanziario in casi giudiziari di questo tipo.

Quanto alle minacce fisiche, come ha ricordato anche Sandro Ruotolo alla cerimonia di premiazione, secondo l’Osservatorio del Viminale il 67% delle minacce provengono da contesti socio-politici e il 37% dalla criminalità organizzata. Nel 2021 le  minacce sono inoltre aumentate del 20%, e gran parte avvengono sulla rete e in contesti sociopolitici.

Per contrastare questo fenomeno Ossigeno ha da tempo lanciato l’idea di un protocollo, da sottoporre agli editori, secondo cui ogni giornalista (dipendente o freelance) inviato all’esterno della redazione in situazioni che comportino il rischio più o meno alto di essere aggredito, l’editore dovrebbe pagare una specifica e adeguata copertura assicurativa.

RED

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