Divieto pubblicazione ordinanze custodia. Parere negativo di Ossigeno al decreto
OSSIGENO 2 OTTOBRE 2024 – Il 2 ottobre 2024 Ossigeno per l’Informazione, su invito della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, ha fornito alla stessa Commissione un parere negativo sul provvedimento legislativo, predisposto dal Governo e attualmente all’esame della Commissione, che prevede di vietare ai giornali la pubblicazione del contenuto totale o parziale delle ordinanze di custodia cautelare fino alla chiusura delle indagini preliminari o fino all’udienza preliminare.
Il provvedimento in esame è l’Atto del Governo n. 196, uno “ Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (196)”.
Giuseppe Federico Mennella, segretario generale di Ossigeno per l’informazione, e l’Avv. Andrea Di Pietro, consigliere giuridico di Ossigeno, hanno illustrato alla Commissione Giustizia le motivazioni (leggi sotto il testo integrale). Hanno sottolineato che questo schema di decreto esprime un malinteso principio della presunzione di non colpevolezza, aggiungendo che il divieto di pubblicazione delle ordinanze va al di là di quanto chiede la direttiva europea. ASP
Parere di Ossigeno consegnato alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati
PREMESSA
Ossigeno per l’Informazione innanzitutto ringrazia la Commissione Giustizia della Camera dei deputati per l’opportunità concessa di esprimere il proprio parere in ordine al DDL n. 196.
Prima di rappresentare le criticità ravvisate da Ossigeno nella proposta legislativa in esame, non appare inutile premettere quanto segue.
A ben vedere la Direttiva UE n. 343/2016, ispiratrice del provvedimento in esame, non si occupa di questioni attinenti all’esercizio dell’attività giornalistica, né dell’attività dei media sulle questioni giudiziarie. Al contrario, nella parte introduttiva, al “considerando 19”, viene precisato che dalla applicazione del principio di presunzione d’innocenza viene «fatto salvo il diritto nazionale a tutela della libertà di stampa e dei media».
La Direttiva UE n. 343/2016 non dispone limitazioni all’informazione, tanto meno censure. L’art. 4 recita:
«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Ciò lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell’indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità. 2. Gli Stati membri provvedono affiché siano predisposte le misure appropriate in caso di violazione dell’obbligo stabilito al paragrafo 1 del presente articolo di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli, in conformità con la presente direttiva, in particolare con l’articolo 10». 3. L’obbligo stabilito al paragrafo 1 di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non impedisce alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico».
In fase di discussione in sede europea era stato proposto un emendamento al “considerando 17” attraverso il quale si voleva introdurre la possibile violazione della presunzione d’innocenza nei casi in cui gli organi di stampa «facciano riferimento all’indagato o imputato come se fosse già stato condannato». Attraverso tale emendamento si pensava di introdurre un divieto di divulgazione di «informazioni concernenti procedimenti penali in corso che potrebbero andare contro il principio di presunzione di innocenza, ivi inclusi i colloqui e le comunicazioni pubblicate attraverso o in concomitanza con i mezzi di comunicazione nonché le fughe di informazioni alla stampa che possano creare pregiudizio o preconcetti contro l’indagato o imputato prima della condanna definitiva in tribunale».
Ebbene, l’emendamento in questione non è stato mai recepito e ciò conferma che in sede europea non è condivisa alcuna posizione che possa condurre a una limitazione della libertà di stampa o a un’assimilazione tra i diritti/doveri dei giornalisti a quelli di ogni altra autorità pubblica.
Nella Direttiva UE n. 343/2016 l’unico richiamo ai media è rimasto quello relativo alla salvaguardia della libertà di stampa. E ciò non sorprende alla luce dei più recenti interventi in ambito Ue, tutti tesi verso un rafforzamento della tutela di tale libertà. Fra tutti, quello del 2021 della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nella presentazione dello Stato dell’Unione, la quale ha dichiarato che la libertà dei media «dà voce a tutte le altre libertà», che l’informazione è un bene pubblico e che devono essere protetti i giornalisti che assicurano la trasparenza e le informazioni.
L’Italia è l’unico Paese che, nel recepire la Dir. UE n. 343/2016, ha invece focalizzato l’intervento di attuazione sul rapporto tra autorità giudiziaria e media e ciò lascia ben pochi dubbi su quali siano le reali finalità del provvedimento in esame.
LA POSIZIONE DI OSSIGENO PER L’INFORMAZIONE
Nella relazione illustrativa del progetto in commento si afferma che con le novelle recate dallo schema di decreto legislativo si interviene allo scopo di evitare che sia pubblicabile il testo, anche solo parziale, delle ordinanze che applicano una misura cautelare di natura custodiale, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Ciò al fine di evitare che la «collettività possa essere indotta, dalla lettura dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, a ritenere come effettivamente responsabile» l’indagato destinatario della misura, giacché la lettura dell’ordinanza cautelare – che espone necessariamente in modo approfondito la serie di elementi indiziari a carico del destinatario della misura – può determinare «un livello di convincimento assai elevato e stigmatizzante da parte della collettività in merito alla responsabilità, malgrado la fase processuale si collochi solo nel momento preliminare delle indagini».
Sul punto, si osserva che la ratio dell’art. 114 c.p.p. (che deve necessariamente essere letto in combinato disposto con l’art. 329 c.p.p.) non è in via principale la tutela del principio, seppure di valore costituzionale, della presunzione di non colpevolezza (o di innocenza, secondo l’espressione utilizzata in ambito europeo), bensì quella di assicurare il buon funzionamento della giustizia (il c.d. Giusto Processo), attraverso la segretezza delle indagini preliminari e la preservazione della terzietà del Giudice del dibattimento, altro valore costituzionale protetto dall’art. 111 Cost.
Pertanto, lo scopo del Legislatore, quando approvava l’art. 114 c.p.p. era da un lato quello di proteggere il segreto delle indagini preliminari per evitare che una discovery anticipata, peraltro a mezzo stampa, ne pregiudicasse il fondamentale effetto sorpresa per l’indagato che non deve mai sapere di essere tale, dall’altro quello di evitare che il Giudice del dibattimento, leggendo in modo irrituale, sui giornali (tanto per essere chiari) gli atti che gli sono preclusi in quanto riservati al fascicolo “di parte” del pubblico ministero, potesse formarsi un convincimento prima della fase della formazione della prova in contraddittorio con la difesa.
Ossigeno per l’Informazione ritiene tali principi della massima importanza, come ritiene che ogni disegno di legge che rafforzi la presunzione di non colpevolezza sia sempre espressione di un livello alto di civiltà giuridica. Tuttavia, Ossigeno ritiene anche che Giusto Processo e libertà di informazione non siano valori inversamente proporzionali, come invece quest’ultima tendenza legislativa sembra voler affermare. La criticità dell’Atto n. 196, infatti, come vieppiù è accaduto con il decreto legislativo n. 188/2021, è proprio quella di ritenere che per elevare le garanzie difensive occorra necessariamente frustrare il diritto di informare e di essere informati, altro diritto della collettività di levatura costituzionale. Come visto in premessa, la Direttiva UE n. 343/2016 non chiedeva questo sacrificio da infliggere alla libertà di stampa. Si è andati oltre.
Introdurre il divieto di pubblicazione, anche parziale, delle ordinanze restrittive-custodiali fino che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare non incide in alcun modo sui due valori protetti dalla norma (segretezza delle indagini e terzietà del Giudice) e pertanto diviene provvedimento inutile sotto questo duplice profilo e dannoso sotto il profilo della libertà di stampa.
Infatti, la segretezza delle indagini (rispetto all’indagato, si badi bene, non verso la collettività) viene comunque meno con la notifica al prevenuto dell’ordinanza cautelare, mentre la terzietà del Giudice (e la conseguente presunzione di non colpevolezza) non sarebbe in alcun modo pregiudicata dalla lettura sui giornali di stralci dell’ordinanza custodiale, in quanto ciò che la legge impone non pervenga all’attenzione del Giudice del dibattimento consiste negli atti di indagine stricto sensu, ovvero i c.d. mezzi di ricerca della prova e l’ordinanza cautelare non è un atto di indagine ma un provvedimento giudiziario, già filtrato da un Giudice (il GIP), posto a tutela delle esigenze cautelari, in presenza di gravi indizi di reità.
In conclusione, non convince la finalità dichiarata dal Legislatore di evitare che la «collettività possa essere indotta, dalla lettura dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, a ritenere come effettivamente responsabile» l’indagato destinatario della misura, giacché la lettura dell’ordinanza cautelare potrebbe determinare nella collettività «un livello di convincimento assai elevato e stigmatizzante da parte della collettività in merito alla responsabilità, malgrado la fase processuale si collochi solo nel momento preliminare delle indagini».
In ultimissima analisi, la ragione essenziale della criticità del presente DDL n. 196 risiede nel fatto che il “convincimento della collettività”, che tanto si vorrebbe tutelare, è invece del tutto estraneo alle finalità dell’art. 114 c.p.p., laddove l’unico convincimento che la norma intende tutelare (e preservare) è esclusivamente quello del giudice del dibattimento. Pertanto, la modifica legislativa prospettata sembra andare nella direzione sbagliata, peraltro mai indicata dalla Direttiva UE n. 343/2016, senza che vi siano reali ragioni giuridiche per imporre alla libertà di informazione l’ennesimo sacrificio.
PER OSSIGENO PER L’INFORMAZIONE: Presidente Alberto Spampinato Segretario Generale Prof. Giuseppe Federico Mennella Consigliere Giuridico Avv. Andrea Di Pietro
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