Diritti Umani. A Ginevra i peccati dell’Italia
In un rapporto dell’ONU sono elencate le inadempienze rispetto ai trattati e le raccomandazioni per superarle. Attese le risposte del Governo alle raccomandazioni formulate dagli altri paesi
L’Italia manca ancora all’appello per quanto riguarda il pieno rispetto di molti, troppi trattati internazionali, alcuni dei quali strategici per la tutela dei diritti dell’uomo. Il più grave ritardo riguarda la mancata istituzione di un organismo indipendente posto a tutela di tali diritti, già presente in numerosi Paesi e richiesto in base ai Principi di Parigi e alla Direttiva comunitaria del 2000.
E’ questo il profilo umanitario dell’Italia che emerge dalle “raccomandazioni” rivolte all’Italia dal Gruppo di lavoro internazionale che ha giudicato il paese nel quadro della Revisione Periodica Universale, alla quale, dal 2000 in poi, il Consiglio per i Diritti umani dell’Onu, che ha sede a Ginevra, sottopone ogni quattro anni tutti i Paesi aderenti. E’ un esame severo, un vero e proprio tiro incrociato, poiché ogni paese è allo stesso tempo un esaminatore degli altri paesi. Ciò spiega almeno in parte perché nel rapporto che il Gruppo di Lavoro ha dedicato all’Italia, il nostro paese appare meno virtuos di quanto siamo abituati a pensare.
Il rapporto infatti dedica anche un capitolo agli attacchi alla libertà di stampa e alla minacce e intimidazioni cui continuano ad essere esposti i giornalisti. Leggi
L’Italia dovrà rispondere a tutte le raccomandazioni elencate nel rapporto, che è stato redatto sulla base una serie di consultazioni coordinate dal Comitato interministeriale per i diritti umani (Cidu, un organismo del Ministero degli Esteri presieduto dal Ministro Fabrizio Petri). Il documento finale con le risposte dell’Italia sarà approvato nel corso della 43esima sessione del Consiglio ONU per i diritti umani che si terrà dal 24 febbraio al 20 marzo 2020 a Ginevra.
Le inadempienze contestate
Le inadempienze di trattati sui diritti umani contestate all’Italia sono numerose. Riguardano, per esempio: la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei loro familiari, adottata il 18 dicembre 1990; la Convenzione europea sulla nazionalità del 6 novembre 1997; il Protocollo alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, riguardante la criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi tramite sistemi informatici del 28 gennaio 2003.
Molti Stati hanno spinto l’Italia verso un maggiore impegno e una maggiore efficacia nelle misure per fronteggiare l’ hate speech, il razzismo e la xenofobia. Criticata anche l’attuazione di alcuni trattati internazionali: la Danimarca e la Francia hanno chiesto all’Italia di allineare la legge 110/2017 alla Convenzione Onu contro la tortura, mentre il Messico ritiene che l’Italia debba uniformare il testo sul reato di sparizioni forzate (legge n. 131/2015) a quello convenzionale. Tra gli altri problemi segnalati: il sovraffollamento delle carceri, gli attacchi alla libertà di stampa, la tratta degli esseri umani, le condizioni dei migranti, l’attuazione effettiva del principio di non-refoulement, il non-respingimento. Principio quest’ultimo sancito dall’art 33 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, secondo cui “nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. Il divieto di respingimento è applicabile a ogni forma di trasferimento forzato, compresi deportazione, espulsione, estradizione, trasferimento informale e non ammissione alla frontiera.
Il problema UNAR
Fra le contestazioni più rilevanti e che si trascinano irrisolte dalle precedenti sessioni della Revisione Periodica Universale, c’è proprio la mancata istituzione di un organo a tutela dei diritti umani indipendente dal governo, in base ai Principi di Parigi varati nel 1991 e adottati da una Risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu del dicembre 1993. Una commissione nazionale per i diritti umani dovrebbe essere nominata dal parlamento e non dall’esecutivo, come avviene in Italia. Dunque, ad oggi, questa Commissione indipendente ancora ancora non esiste. C’è invece , un organo della Presidenza del Consiglio dei ministri, l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica, denominato UNAR– Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. Questo ufficio è stato istituito nel 2003 in esecuzione della direttiva comunitaria n.43 del 2000, ed è deputato a garantire il diritto alla parità di trattamento di tutte le persone, indipendentemente da origine etnica o razziale, età, religione, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità.
In Italia, da qualche anno, a inizio di ogni legislatura, viene depositata in parlamento una proposta di legge per istituire questa Autorità Nazionale indipendente per i Diritti Umani. L’ultima proposta del genere è stata presentata nell’estate 2018. C’è ora un testo che è la sintesi di due diverse proposte (Leggi). Prevede l’ istituzione di una Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani in linea appunto con la Risoluzione Onu di fine 1993. Stavolta riuscirà a tagliare il traguardo prima della fine della legislatura?
Di questa proposta e del suo iter parlamentare, cominciato nel novembre 2018, si è parlato in due incontri del gennaio 2020, al Senato e alla Camera. Il CeSPI (Centro Studi di Politica Internazionale), think tank riconosciuto dal Ministero degli Esteri, ha promosso varie iniziative su questo tema insieme ad altre associazioni e ONG che sollecitano il provvedimento e stanno sviluppando ulteriori iniziative.
Per quanto riguarda i temi delle libertà fondamentali e della partecipazione alla vita pubblica e politica, il rapporto dell’Italia al Gruppo di lavoro del Consiglio per i diritti umani dell’Onu si sofferma sul ruolo che l’Agcom, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, svolge sul tema della libertà di informazione. Il rapporto ricorda che questa Autorità ha istituito un Osservatorio sul giornalismo che ha messo in evidenza quali principali problemi dei giornalisti le condizioni di lavoro precario e il fenomeno delle intimidazioni contro i cronisti. Il rapporto ricorda l’indagine dell’Agcom svolta nel 2017, basata su risposte fornite a un questionario compilato da 2.439 giornalisti, con interessanti risultati presentati, fra l’altro, dall’AgCom a un convegno organizzato a Roma nel 2018, in collaborazione con Ossigeno per l’informazione e con il patrocinio dell’Unesco, per celebrare il World Press Freedom Day. Vedi
Questa indagine ha evidenziato che molti giornalisti (l’11% degli intervistati) dichiarano di essere stati minacciati, quasi che hanno subito danni (2%) e attacchi fisici (1% ). L’indagine AgCom inoltre ha evidenziato altre significative questioni relative alla parità di genere, in particolare sul fronte economico. Dal 2018 l’Agcom è stata incaricata di monitorare le questioni di genere nel campo dell’informazione e del giornalismo, e sta portando a termine una nuova indagine per la quale ha consultato circa 2000 giornalisti. Il rapporto finale su questa nuova indagine terrà conto anche dei dati sui giornalisti minacciati, raccolti sul campo dall’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione.
Luciana Borsatti
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