Le 3 paroline che costano 38 mila € a Travaglio e 2 giornalisti del Fatto
Perché il Tribunale di Padova li ha condannati per diffamazione della presidente del Senato Elisabetta Casellati – I limiti del diritto di critica e il linguaggio figurato
OSSIGENO 30 giugno 2022 – di Alberto Spampinato e Andrea Di Pietro – Il 27 maggio 2022 il Tribunale civile di Padova ha condannato il giornalista Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, la società editrice SEIF e due redattori dello stesso giornale (i giornalisti Carlo Tecce, che ora lavora al settimanale l’Espresso, e Ilaria Proietti) a versare complessivamente 38 mila euro (30mila di danni più 8 mila di spese legali) alla presidente del Senato, Elisabetta Casellati.
La presidente del Senato aveva fatto causa contro di loro per diffamazione a mezzo stampa in relazione a una ventina di articoli pubblicati fra il 2018 e il 2020, lamentando una campagna di stampa offensiva contro di lei.
I giornalisti condannati hanno annunciato ricorso in appello contestando il merito della sentenza e rivendicando il diritto dei giornali e dei giornalisti di criticare motivatamente l’operato delle persone che rivestono incarichi pubblici.
OSSIGENO per l’Informazione auspica che i successivi gradi di giudizio chiariscano che in Italia, come altrove, il giornalismo politico può esprimersi usando anche le frasi colorite e figurate che già fanno parte del linguaggio comune e del dibattito pubblico, in virtù di una progressiva desensibilizzazione della portata offensiva di alcuni termini ormai usati in modo figurato. Si pensi, ad esempio, che in passato sono stati ritenuti diffamatori termini che oggi sono diventati inoffensivi, proprio perchè il significato figurato ha preso il sopravvento su quello letterale.
IL GIUDICE di Padova, Caterina Zambotto, ha escluso dal giudizio la maggior parte degli articoli indicati dalla promotrice della causa. Ha spiegato che per alcuni non era stato evidenziato il contenuto ritenuto diffamatorio e, per altri, quello indicato non era diffamatorio. Ha invece giudicato diffamatori cinque articoli.
LA NOTIZIA – La stessa presidente del Senato ha dato dato notizia della condanna, il 5 giugno 2022, con un comunicato pubblicato dalle agenzie di stampa che contiene il dispositivo della sentenza e questa sua dichiarazione: “Ho vinto la causa di diffamazione contro i giornalisti del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, Ilaria Proietti e Carlo Tecce”.
MARCO TRAVAGLIO, in un editoriale, si è augurato che nei successivi gradi di giudizio la condanna sia annullata poiché essa si basa erroneamente sulla qualificazione diffamatoria di alcuni vocaboli. Noi, in 200 articoli, ha scritto il 5 giugno 2022 in un editoriale, “abbiamo usato tre vocaboli: ‘bestemmia (il ‘perdio’ sfuggito alla gentildonna), ‘marchette (i sospetti di favori ai rampolli) e ‘minacce’ (i preavvisi di azione legale recapitati a domicilio a due nostri cronisti)” e siamo stati condannati per l’uso di questi vocaboli. Faremo appello – aggiunge -, e confidiamo di ottenere l’annullamento della condanna facendo valere il significato che anche il Dizionario Treccani attribuisce a questi termini”.
GLI ARTICOLI oggetto della causa criticano aspramente il comportamento della presidente del Senato in alcune circostanze, e in particolare sull’accettazione del vitalizio riconosciuto ai senatori e ad alcuni viaggi all’estero da lei fatti in prossimità di iniziative in cui erano impegnati i suoi figli. Un articolo del 20 giugno dal titolo “Bestemmie & Cazziatoni. E’ Casellati show dal Senato” critica l’uso dell’espressione “perdio” durante una seduta a Palazzo Madama.
IL COMMENTO DI OSSIGENO – Scrivere 200 articoli di critica politica, talvolta legittimamente aspra, ed essere condannati per l’uso improprio di sole 3 parole – peraltro il cui valore offensivo è da anni assorbito dal linguaggio comune – equivale per Il Fatto ad aver lanciato 200 freccette verso un bersaglio e aver fatto sempre centro. Nonostante questo, è arrivata la condanna.
Ossigeno esprime solidarietà ai giornalisti condannati e si augura che in grado di appello i giudici riconoscano che il giornalismo politico, per descrivere i fatti e farne comprendere il significato e la portata, può esprimersi usando anche espressioni colorite e figurate che fanno parte del linguaggio comune e del dibattito pubblico. E’ proprio di impostazioni quantomeno retrograde comprimere il linguaggio giornalistico oltre il confine della verità e del significato comunemente attribuito alle parole, tanto più in un’epoca in cui, in Italia e altrove, gli stessi protagonisti della vita politica sempre più spesso usano le parole forzandone il significato. Al diritto di critica politica si deve riconoscere piena libertà di espressione, se vogliamo un confronto pubblico aperto e il rispetto del diritto di informare e di essere informati.
Alberto Spampinato e Andrea Di Pietro
ASP
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