Diffamazione. In sede civile il cronista rischia di più
Il commento dell’avvocato Andrea Di Pietro alla condanna della giornalista Lilli Mandara pronunciata dal Tribunale civile di Pescara
Il caso della condanna della giornalista Lilli Mandara (vedi), avuto riguardo al tenore della sentenza, si presta ad una riflessione sulle differenze tra illecito civile e illecito penale in tema di diffamazione a mezzo stampa.
Normalmente il margine di condanna per il giornalista è maggiore in sede civile, dove il giudice, se accerta l’esistenza di un danno patrimoniale da fatto ingiusto ex art. 2043 del Codice Civile, può condannare il giornalista anche se ritiene che non vi sia reato. Mentre il giudice penale che ritiene l’insussistenza della diffamazione deve necessariamente assolvere, non potendo estendere il suo giudizio all’esistenza di un generico danno da responsabilità aquiliana.
Questo è il paradosso cui si perviene applicando il principio della doppia competenza civile e penale ed è quello che sembra essere accaduto alla giornalista Lilli Mandara.
Sembra, infatti, dalle motivazioni della condanna, che nell’articolo fosse contenuta una notizia sostanzialmente vera (aspetto che avrebbe condotto ad assoluzione in sede penale) ma che il tono e il linguaggio utilizzato nel pezzo incriminato fossero esorbitanti rispetto ai limiti della continenza espressiva individuati dalla giurisprudenza di legittimità.
È vero che il criterio della continenza è utilizzato anche dal giudice penale, ma è anche vero che in sede penale i limiti della continenza espressiva sono molto più ampi che in sede civile, proprio perché la sussistenza di un reato deve necessariamente avere come presupposto la gravità palese della condotta. ADP
L’Avvocato Andrea Di Pietro è il coordinatore dell’Ufficio di Assistenza Legale Gratuita di Ossigeno
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