Cronista nei guai per la telefonata a un magistrato
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Silvio Leoni ha subito una perquisizione, il sequestro del cellulare ed è indagato per gravi reati per aver chiamato il presidente della Corte d’Assise di Bologna
Ha suscitato allarme, sorpresa e varie attestazioni di solidarietà, fra cui quella di Ossigeno (leggi) la strana vicenda del giornalista Silvio Leoni, redattore del quotidiano Il Secolo d’Italia, perquisito e indagato per gravi reati per aver telefonato al presidente della Corte d’Assise di Bologna Michele Leoni. (stesso cogome del giornalista ma nessuna parentela tra loro)
Tre settimane dopo quella telefonata, il 6 novembre 2019, il giornalista ha subito una perquisizione giudiziaria. I carabinieri gli hanno sequestrato il telefono cellulare e la Procura di Ancona ha avviato indagini su di lui, accusandolo di minacce e accesso abusivo al sistema informatico. Venti giorni dopo, davanti al Tribunale del Riesame di Ancona, queste accuse sono cadute per difetto di procedibilità: il magistrato non aveva denunciato il fatto. Ma immediatamente dopo la conclusione dell’udienza, la Procura di Ancona ha contestato al giornalista un’accusa ancora più grave, per la quale è tuttora indagato: violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario (articolo 338 codice penale), reato punibile con la reclusione fino a sette anni. Con questa nuova contestazione, la Procura di Ancona ha nuovamente sequestrato il telefono cellulare del giornalista, che ha reagito e ha presentato un nuovo ricorso al Tribunale del Riesame contro questi nuovi provvedimenti.
I FATTI – Michele Leoni è il magistrato che presiede la Corte d’Assise del capoluogo emiliano, la corte che sta celebrando il nuovo processo per la strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Fra gli imputati, Gilberto Cavallini, ex NAR, per il quale il pubblico ministero ha chiesto l’ergastolo. Il processo è in una fase delicata.
Il 18 ottobre 2019, alle 11 e 50, Silvio Leoni gli ha telefonato sul cellulare. Non conosceva di persona il magistrato, era la prima volta che lo chiamava al telefono. Perciò innanzitutto si è presentato, poi ha cercato di fare una domanda. Il magistrato lo ha fermato dicendo che non poteva parlare del processo. La comunicazione è durata meno di un minuto. Il tono della conversazione è stato sereno da entrambe le parti. Ossigeno ha ascoltato la registrazione della chiamata, fatta dallo stesso giornalista. Subito dopo quella telefonata, il giornalista ha inviato un breve messaggio whatsapp al magistrato, scrivendo che voleva soltanto complimentarsi con lui per l’equilibrio con cui presiedeva la corte.
A Ossigeno Silvio Leoni ha spiegato che l’aveva chiamato per dirgli che apprezzava la sua decisione di autorizzare il test del DNA sui resti di una vittima della strage del 1980, permettendo così di appurare che c’era stato un errore di identificazione. “Io sono un giornalista. Da tanti anni – ha detto Silvio Leoni a Ossigeno – mi occupo per il mio giornale dei processi sulle stragi. Ho chiamato altre volte dei magistrati al telefono. Non è un reato. Infatti non sono mai stato perseguito per questo”. Il giornalista ha ammesso di non avere mai chiamato prima un presidente di Corte d’Assise impegnato in un processo in corso e di tale importanza. “Ma qui —ha aggiunto – siamo alla follia. Se si considera giusto il trattamento che mi è riservato allora qualsiasi giornalista che telefona a un magistrato può essere perquisito, sottoposto a sequestro e accusato del reato di minaccia a un corpo giudiziario. Mi auguro che il Tribunale del Riesame annulli queste accuse e mi restituisca il telefono”.
L’ALLARME DEL MAGISTRATO – Nel periodo intercorso fra la telefonata e la perquisizione a Silvio Leoni, il presidente Michele Leoni ha denunciato dei fatti che lo preoccupavano, in particolare un danneggiamento alla sua auto con rottura dello specchietto laterale e alcuni graffi e, nella denuncia, ha ricordato di avere ricevuto quella telefonata da un sedicente giornalista che egli non conosceva. In proposito i carabinieri hanno fatto degli accertamenti e hanno riferito alla procura di Ancona (quella che segue i procedimenti in cui sono coinvolti i magistrati di Bologna) che Silvio Leoni è effettivamente un giornalista di Roma, come si era qualificato al telefono. In relazione ai fatti il dispositivo di protezione del magistrato è stato rafforzato.
LA PERQUISIZIONE – Il 6 novembre 2019 tre carabinieri si sono presentati a casa del giornalista notificandogli un decreto di perquisizione e la sua condizione di indagato per minacce e accesso abusivo al sistema informatico. “Sono stati molto gentili e – racconta Silvio Leoni – mi hanno spiegato che dovevano sequestrarmi il telefono cellulare e il personal computer. Se glieli avessi consegnati non avrebbero rovistato per tutta la casa. Io ho consegnato il telefono e ho spiegato che non possiedo personal computer, uso quelli della redazione. Subito dopo ho chiamato i miei avvocati, che mi assistono a condizioni amichevoli, e li ho incaricati di fare ricorso al Tribunale del Riesame”.
IL RIESAME – Il 29 novembre il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso di Silvio Leoni, annullando le accuse per difetto di procedibilità (mancava la denuncia del magistrato). Di conseguenza, il Tribunale ha deciso di restituire il telefono sequestrato il 6 novembre. Però, un’ora dopo, il sostituto procuratore Ilaria Bilotta ha emesso un nuovo decreto con l’accusa di minaccia a corpo giudiziario e ciò ha bloccato la restituzione del telefono cellulare.
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