Processo Rocchelli. Come si è arrivati alla condanna di Vitaly Markiv
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Oltre un anno di udienze – Le tesi contrapposte della difesa e dell’accusa – Le attenuanti negate – I familiari del fotoreporter – I difensori
Questa cronaca di Giacomo Bertoni è stata prodotta da Ossigeno per l’informazione in collaborazione con La Provincia Pavese, Unione Nazionale Cronisti Italiani, Ordine Giornalisti Lombardia per integrare le cronache dei media con un resoconto oggettivo, puntuale ed esauriente dello svolgimento del processo in corso al Tribunale di Pavia in cui è imputato il presunto responsabile dell’uccisione del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e del giornalista russo Andrey Mironov. Questo testo è stato pubblicato sul sito web ossigeno.info ed è stato inviato a Vienna al Rappresentante per la Libertà dei Media dell’Osce, che segue con attenzione la vicenda. Leggi qui i precedenti articoli
«Questa Corte condanna Vitaly Markiv a 24 anni di reclusione» per concorso nell’omicidio del fotoreporter italiano Andy Rocchelli, avvenuto in Ucraina il 24 maggio 2014 in seguito a un intenso tiro di mortai.
La sentenza è stata letta venerdì 12 luglio 2019 dalla presidente del Tribunale di Pavia, Annamaria Gatto, ed è stata accolta dai presenti nella Sala dell’Annunciata in assoluto silenzio. Erano le 15 di venerdì 12 luglio 2019. La Sala dell’Annunciata era gremita. C’erano giornalisti, sostenitori di Markiv, amici di Andy e cittadini pavesi.
La Corte d’Assise inoltre ha confermato la richiesta del Pm Zanoncelli di procedere penalmente anche a carico di Bogdan Matkivsky, all’epoca dei fatti comandante di plotone, che ha testimoniato al processo ed era presente in aula. Il comandante, ascoltata la sentenza, ha lasciato la sala ed è tornato in Ucraina.
Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni. Da quel momento la difesa avrà 45 giorni di tempo per decidere se presentare appello. La decisione sembra scontata. «Faremo certamente appello – ha anticipato l’avvocato Donatella Rapetti –, questa è una sentenza ingiusta e inspiegabile dal punto di vista giuridico e delle prove, che mancano. Come soldato della Guardia nazionale, Markiv sulla collina su cui si trovava aveva il solo compito di segnalare movimenti sospetti al suo comandante, il quale a sua volta doveva riferire al comandante dell’esercito. Nessuno ha sparato con la volontà di uccidere un giornalista italiano». Giacomo Bertoni
Si è chiusa così una vicenda processuale durata più di un anno. Un anno durante il quale il Pm Andrea Zanoncelli e gli avvocati della difesa Raffaele Della Valle e Donatella Rapetti si sono scontrati più volte.
Da un lato il Pm, che ha elencato gli elementi di accusa e ha concluso chiedendo la condanna di Markiv a 17 anni di reclusione, considerandolo colpevole di concorso in omicidio per la morte del fotoreporter Andy Rocchelli. Dall’altro gli avvocati, che hanno chiesto l’assoluzione con formula piena per non aver commesso il fatto.
Più di un anno di udienze durante le quali vari consulenti e testimoni hanno sfilato per contribuire all’accertamento della verità. Fra gli altri ha parlato l’unico sopravvissuto dell’attacco a colpi di mortaio, il fotoreporter francese William Roguelon, che era insieme a Andrea Rocchellli e all’interprete russo Andrej Mironov, e anch’egli ha perso la vita.
Roguelon ha detto ai giudici: «Ci hanno preso di mira, hanno sparato contro di noi per trenta minuti, volevano ucciderci». Il comandante della Guardia nazionale ha detto ripetutamente: «Noi ci trovavamo sulla collina di Karachun e non avevamo a disposizione mortai».
Uno scontro processuale aperto. Ci sono stati anche episodi di tensione fra gli amici di Andy Rocchelli e i sostenitori di Markiv, che hanno sempre affollato l’aula del Tribunale di Pavia per esprimergli sostegno e solidarietà.
Alla fine la Corte d’assise ha emesso la condanna, una condanna più severa di quella chiesta dal Pm, perché non ha concesso all’imputato le attenuanti generiche. Si è arrivato a condannare Markiv a 24 anni di carcere.
Pochi istanti dopo la lettura della sentenza gli agenti della polizia penitenziaria hanno scortato Markiv fuori dalla sala e lo hanno riportato nella sua cella. Uscendo, rivolgendosi alla comunità ucraina presente, Markiv ha gridato “Gloria all’Ucraina”. Dalla sala gli hanno risposto: “Gloria agli eroi”.
Alcuni sostenitori di Markiv sono scoppiati in lacrime e hanno alzato le mani unendo le dita a formare un cuore. «Non ci sono prove, Markiv è solo un soldato che combatteva per difendere il suo Paese», hanno ripetuto molti di loro.
Il patrigno di Markiv, Manlio Rogagni, accusa: «Non ci sono prove e non c’è il movente. Sui giornali Vitaly è stato descritto fin dall’inizio come un assassino, ma lui era solo un soldato che difendeva il suo Paese. Ci dispiace per la perdita subita dalla famiglia Rocchelli, ma è stata solo colpa della guerra».
La famiglia Rocchelli ha lasciato la sala da un uscita laterale, visibilmente commossa.La mamma di Andy ha rilasciato una breve dichiarazione ai giornalisti: «Questa è una sentenza molto importante, per Andy, per noi, per tutti i giornalisti che lavorano in contesti di guerra.. Grazie alla procura di Pavia e grazie ai giornalisti che hanno seguito la vicenda con vicinanza e solidarietà».
I familiari si sono poi allontanati insieme agli amici di Andy. Con i genitori, Rino ed Elisa, c’erano anche la figlia Lucia e la compagna di Andy, Maria Chiara.
“Questa è una sentenza importante – ha detto il direttore di Ossigeno per l’Informazione, Alberto Spampinato – perchè interrompre la lunza catena di impunità per l’uccisione di centinaia di giornalisti nelle zone di guerra”. Leggi il suo commento
Soddisfazione di Giuseppe Giulietti, Federazione nazionale stampa italiana, e Paolo Perucchini, Associazione lombarda dei giornalisti, costituite parti civili nel processi. «Rocchelli era in Ucraina – hanno detto – per essere i nostri occhi e le nostre orecchie, lui illuminava le oscurità grazie al suo lavoro. Nessuno può calpestare l’articolo 21 della nostra Costituzione».
Di libertà di stampa hanno parlato anche gli amici di Andy, che in sua memoria hanno fondato l’associazione “Volpi scapigliate”. «Con questa sentenza – hanno detto – è stata ristabilita la verità. Noi speravamo in un’attestazione delle responsabilità, invece è arrivato molto di più. È una pagina di storia che rimarrà, come una difesa nuova per tutti i giornalisti che, operando in zone di guerra, cercano di dare voce a chi non ce l’ha».
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