Che cosa ci insegna il processo per calunnia ai querelanti
I doveri dei giudici e quelli dei giornalisti – Le norme che mancano e quelle che restano inapplicate
OSSIGENO – 21 luglio 2023 – Il processo per calunnia ad Adriana Musella (leggi) poteva cominciare sette anni fa e avrebbe offerto l’occasione per una riparazione efficace e tempestivo dei torti subiti da una giornalista e dai suoi lettori. Invece avrà inizio soltanto a novembre 2023 a Reggio Calabria e non avrà lo stesso effetto.
Nel 2016, quando era la presidente dell’associazione antimafia “Riferimenti Gerbera gialla”, destinataria di cospicui finanziamenti pubblici e di beni immobili confiscati alla ‘ndrangheta, Adriana Musella non si limitò a contestare le critiche della giornalista Alessia Candito. La querelò (ovvero la denunciò formalmente alla magistratura) e lo fece “sapendola innocente”. La accusò di vari reati: diffamazione aggravata, accesso abusivo a sistema informatico e sottrazione di documenti.
Usando le sue buone fonti, facendo il suo mestiere di cronista, sapendo di suscitare proteste, Alessia Candito aveva scritto in un articolo che i conti dell’associazione, allora molto lodata, non tornavano, non erano trasparenti. Lei lo aveva segnalato già tre anni prima (ovvero dieci anni fa). Alcun indagini giudiziarie hanno poi mostrato che in effetti la gestione non era corretta.
Per quello scoop meritava un premio. Invece le è costato dieci anni di calvario. Ha dovuto difendersi da sola e la magistratura ha buttato la palla in tribuna, prima di imboccare la strada che porterà a giudicare chi l’ha accusata falsamente. Ci sono voluti sette anni per recuperare la palla.
La procura aveva chiesto nel 2016 il rinvio a giudizio per calunnia della presidente dell’associazione “Riferimenti”. C’è voluta una sentenza della Cassazione per ottenerlo, e il processo comincerà dopo sette anni. Troppo tempo dopo. Bisognerebbe sapere subito che cosa merita una persona che accusa falsamente una giornalista che ha segnalato un uso scorretto dei finanziamenti pubblici. Fra l’altro si rischia di aprire il processo solo per dichiarare prescritti i reati. Si vedrà.
In ogni caso la vicenda giudiziaria di Alessia Candito ci dice alcune chiare verità.
- E’ vero che la giustizia italiana ha bisogno di nuove norme, più eque e giuste, in materia di diffamazione a mezzo stampa. Ma riconoscere questa esigenza non può essere l’alibi per lasciare inapplicati gli strumenti giuridici efficaci che sono già nei nostri codici per combattere le querele temerarie e in particolare il gravissimo abuso che alcuni fanno del sistema giudiziario presentando denunce di diffamazione a mezzo stampa o basate su false incolpazioni, come in questo caso. Chi lo fa commette un preciso reato, incorre nel reato di calunnia e il giudice può rinviarlo a giudizio e processarlo per questo reato. Il giudice può farlo, se vuole, senza aspettare sette anni (come in questo caso), per sentirsi dire dalla Cassazione che è così.
- Questa non è l’unico caso di un querelante che sale sul banco degli imputati. Ossigeno sta raccontando diversi casi simili. Queste storie forniscono buoni insegnamenti anche ai bravi giornalisti: quando raccolgono le informazioni necessarie per pubblicare notizie scomode, notizie che possono avere conseguenze giudiziarie, devono sforzarsi di produrre, raccogliere e conservare anche le prove della loro correttezza. Comporta una fatica in più, ma ne vale la pena. ASP
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