Caso TAR-Report. Tornano attuali i limiti del segreto professionale dei giornalisti
E’ sempre stato parziale e comprimibile dall’Autorità Giudiziaria. Tutela il riserbo sul nome e cognome di una fonte ma cade davanti all’ordine di un giudice – Il diritto di accesso agli atti ha complicato le cose
OSSIGENO 22 giugno 2021 – Il Caso “TAR – Report”(vedi) e la conseguente condanna della RAI a consegnare copia degli atti “preparatori” di una specifica puntata di Report, è effettivamente controverso e interessante sotto il profilo giuridico.
Chi ora grida allo scandalo forse non sapeva che i giornalisti non hanno avuto mai un segreto professionale pieno. La legge accorda loro il diritto di tutelare l’identità (nome e cognome) della fonte fiduciaria, a meno che il Giudice non lo obblighi a fare quel nome e quel cognome quando il dato è necessario all’accertamento del reato per il quale sta procedendo. Quindi è un segreto professionale limitato, parziale e comprimibile dall’Autorità Giudiziaria.
Purtroppo, quindi, e lo dico con sincero rammarico, nel caso TAR-Report non sembra effettivamente invocabile il segreto professionale.
Questo è il passaggio della sentenza TAR che ne illustra le ragioni:
“La suddetta documentazione risulta costituita, in particolare, dalle richieste informative rivolte in via scritta dalla redazione del programma ad enti di natura pubblica in merito all’eventuale conferimento di incarichi ovvero di consulenze in favore di parte ricorrente, unitamente ai riscontri forniti dai suddetti enti, in quanto rientranti nel novero dei documenti e degli atti formati ovvero detenuti da una pubblica amministrazione o da un privato gestore di un pubblico servizio.
12.3. La delimitazione in siffatti termini della documentazione ostensibile, coinvolgendo l’interlocuzione intercorsa con soggetti di natura pubblica, rende priva di rilievo nel caso concreto la prospettazione difensiva articolata dalla Società resistente circa la prevalenza che dovrebbe riconoscersi al segreto giornalistico sulle “fonti” informative per sostenere l’esclusione ovvero la limitazione dell’accesso nel caso di specie.
13. Il ricorso va quindi accolto parzialmente, nei sensi e nei termini sopra illustrati”.
È giusto comunque che il caso faccia discutere e spero sia la giusta occasione per rimettere mano al segreto professionale dei giornalisti. Occorrerebbe, inoltre, prevedere una deroga alla legge sull’accesso agli atti amministrativi e al FOIA, in modo da evitare il paradosso che gli atti di una qualsiasi inchiesta giornalistica firmata Rai, in quanto azienda pubblica, siano considerati atti amministrativi.
Non è infatti peregrina la considerazione di chi vede in questa equiparazione una lesione della libertà di stampa, anche per come tale libertà si è evoluta alla luce delle molte sentenze CEDU che hanno enucleato l’art. 10 della Convenzione EDU, ben più orientato alla tutela specifica della libertà di informazione giornalistica rispetto al più generale art. 21 della Costituzione.
Va però anche detto, infine, che se questa sentenza dovesse aprire a nuove e continue richieste di accesso agli atti, per Report la situazione diverrebbe insostenibile. In questo caso, l’unica soluzione sarebbe “privatizzare” l’intera redazione di Report che a quel punto venderebbe il prodotto finito a Rai e quindi Rai potrebbe opporre l’indisponibilità degli atti in occasione delle richieste di accesso agli atti da parte di terzi. ADP
L’Avv. Andrea Di Pietro è il coordinatore dell’Ufficio di Assistenza Legale Gratuita di Ossigeno per l’Informazione vedi
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