Caso Gambirasio. Archiviazione per 16 giornalisti, non diffamarono ex capo RIS Parma
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I cronisti avevano difeso la presunzione d’innocenza dell’indagato definendo una patacca un video diffuso dai Carabinieri che mostrava un furgone senza dire che non era il suo
OSSIGENO 11 marzo 2022 – Dopo sei anni di indagini il gip Fabrizio Filice del Tribunale di Milano il 7 ottobre 2021 ha archiviato la querela per diffamazione presentata dall’ex capo dei RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri) di Parma Giampietro Lago contro 16 giornalisti: Luca Telese, Maurizio Belpietro, Paolo Liguori, Giovanni Minoli, Nicola Porro, Luca Raimondi, Peter Gomez, Cesare Giuzzi, Edoardo Montolli, Umberto Brindani, Alessandro Barbano, Gioele Urso, Giorgio Mulé, Andrea Paolo Aquarone, Ignazio Stagno e Alessandro Sallusti. Per gli ultimi tre era già intervenuta la remissione di querela. I giornalisti avevano criticato un video fornito dai Carabinieri alle tv prima del processo a Massimo Bossetti, l’uomo accusato e poi condannato per l’omicidio di Yara Gambirasio, la 13enne di Brembate di Sopra (BG) scomparsa il 26 novembre 2010 e ritrovata cadavere 2 mesi dopo.
I FATTI – Il video oggetto della querela mostrava un furgone bianco che girava intorno alla palestra della ragazzina in orari compatibili con la sua scomparsa, cosa che ingenerò l’equivoco che il mezzo fosse proprio quello di Massimo Bossetti. Nel 2015 si scoprì che ai Tg non era stato specificato che non si trattava del furgone dell’indagato, ma di un montaggio di fotogrammi di diversa provenienza per verificare la compatibilità tra un furgone nei “frame” e quello sequestrato a Massimo Bossetti. Le critiche dei media per l’operato dei RIS di Parma non sono piaciute al loro ex capo, che ha querelato giornalisti a raffica.
LA SENTENZA – Il gip Fabrizio Filice ha accolto la richiesta di archiviazione del pm e ha osservato che “la cronaca e la critica giornalistica…si sono inserite su un fatto obiettivo, di indubbio interesse pubblicistico e non frutto di.. invenzione o di artefatto”. Inoltre, “la diffusione mediatica” di quel video, “il cui scopo era dichiaratamente non probatorio…ma comunicativo”, di fatto lese “il fondamentale principio della presunzione di innocenza dell’imputato che… deve proteggere gli indagati da…sovraesposizioni deliberatamente volte a presentarli…come colpevoli prima dell’accertamento processuale definitivo”.
I GIORNALISTI – Fra i giornalisti querelati abbiamo raggiunto Cesare Giuzzi del ‘Corriere della Sera’, di cui Ossigeno (leggi) si è di recente occupato. “ A novembre 2015, quando è venuto fuori che il video dei RIS non era materiale certo, Luca Telese su ‘Libero’ lo definì “patacca” e “tarocco” (vedi). Fu seguito a cascata da giornali e Tv, – ci ha raccontato il giornalista – Io ho avuto un ruolo marginale, come sottolineato anche dal pm. Sono stato querelato per un intervento sulla pagina Facebook del Gruppo Cronisti Lombardi, di cui ero presidente. La lettera aperta al procuratore di Bergamo fece il giro dei social, rilanciata da altre testate. Affermavo, per il mio ruolo sindacale e in chiave deontologica, che era doveroso dire che si trattava di materiale non probante e che c’era stato un problema di attendibilità delle fonti istituzionali. La verità è che nel rapporto con investigatori e magistratura si deve condividere una linea comune, nel rispetto reciproco e nella garanzia sul materiale che viene fornito alla parte terza, quella giornalistica, che terza deve rimanere. Questa sentenza ha riconosciuto l’importanza della cronaca giudiziaria, che deve sempre rispettare il principio d’innocenza; non si tratta di censura, ma solo di fare buona informazione”. LT
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