Carcere per diffamazione. In Sicilia una giornalista ai servizi sociali
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Graziella Lombardo, ex direttrice di Centonove, è stata condannata a 4 mesi di carcere insieme ad Alessandra Serio, autrice dell’articolo. Altre tre condanne a pene detentive potrebbero diventare esecutive
Il 4 dicembre 2017, a dieci anni dai fatti, il Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro ha disposto che la giornalista siciliana Graziella Lombardo sconti con la misura alternativa dell’affidamento ai servizi sociali una condanna a quattro mesi di reclusione per diffamazione a mezzo stampa, emessa nel 2014 dal Tribunale di Crotone e ora resa esecutiva, presso una Onlus che assiste donne in difficoltà.
La giornalista è stata condannata per omesso controllo su un articolo pubblicato nel 2007 dal settimanale Centonove, di cui era direttore responsabile. Anche l’autrice dell’articolo, la giornalista Alessandra Serio, è stata condannata a quattro mesi di carcere, ma per lei la pena è stata sospesa.
In quell’articolo dal titolo “Se Fortino evade i domiciliari”, Alessandra Serio aveva riferito che l’avvocato Giuseppe Fortino, confinato a Capo D’Orlando (Messina) nella villa della sua compagna, se ne era allontanato senza autorizzazione. L’avvocato aveva negato che ciò fosse avvenuto e aveva querelato. Il processo gli ha dato ragione. La circostanza dell’evasione si è rivelata falsa.
Graziella Lombardo, di cui Ossigeno si è già occupato nel 2016 (leggi), ha commentato: “Mi sembra ingiusto che i giornalisti che sbagliano debbano pagare prezzi così alti. Dopo questa assegnazione ai servizi sociali, per me è diventato tutto molto difficile, perfino accompagnare i miei figli a scuola”. Ha spiegato a Ossigeno che non può uscire di casa prima delle 8 del mattino e deve rientrare prima delle 21. Inoltre non può lasciare il territorio della provincia di Messina, dove risiede.
Dopo l’affidamento ai servizi sociali, Graziella Lombardo ha espresso la sua amarezza al presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sicilia, in una lettera. Non si aspettava questo triste epilogo della sua carriera professionale, iniziata nel 1995, e pensa che l’abbiano danneggiato molto le difficoltà economiche della società editrice di Centonove. Queste difficoltà non le hanno consentito di avere una difesa legale efficace e continuativa, al punto da non chiedere in tempo la commutazione della pena detentiva in pecuniaria.
Purtroppo, la sua situazione rischia di aggravarsi ancora, perché sulla sua testa pendono altre tre condanne a pene detentive per diffamazione a mezzo stampa. Sono state emesse dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria nel 2005-2006. Non sono ancora esecutive ma hanno già indotto i giudici a negarle il beneficio della sospensione condizionale della pena.
La prima è una condanna datata 30 dicembre 2005, per fatti di dieci anni prima: altri quattro mesi di reclusione – pena sospesa – per omesso controllo. La seconda condanna, emessa dalla stessa Corte, è del 18 gennaio 2016: altri sei mesi di reclusione, pena sospesa, per omesso controllo e diffamazione, aggravata dall’attribuzione di fatto determinato. La terza condanna è del 18 settembre 2006: altri otto mesi di reclusione, pena sospesa, per diffamazione a mezzo stampa con l’aggravante dell’attribuzione di fatto determinato.
Dal certificato dei carichi pendenti, rilasciato dalla Procura di Catania, risultano a carico di Graziella Lombardo 22 procedimenti: uno per pubblicazione arbitraria di atti giudiziari, tutti gli altri per diffamazione. È una situazione comune a molti direttori responsabili.
Il fallimento della società e l’indagine per bancarotta – Nel frattempo la società editrice di Centonove, della quale un tempo Lombardo aveva delle quote, è fallita e l’amministratore unico – il giornalista Enzo Basso – è agli arresti domiciliari per bancarotta impropria. Anche Graziella Lombardo è indagata per bancarotta, a causa delle sue partecipazioni. Il 4 febbraio 2018, infine, la testata è finita all’asta (leggi).
Il Dossier di Ossigeno – A ottobre del 2016 Ossigeno ha presentato il dossier Taci o ti querelo che presenta e analizza i dati inediti ottenuti dal Ministero della Giustizia sugli effetti concreti che ha avuto l’applicazione della legislazione sulla diffamazione a mezzo stampa in Italia, sui procedimenti ai quali ha dato vita e sul loro esito nel periodo 2010-2015. Dai dati è emerso che ogni anno, in Italia, 155 giornalisti sono stati condannati a pene detentive. Le condanne in media non hanno superato i dodici mesi di reclusione, ma nel complesso hanno fatto cumulare 103 anni di carcere, ogni anno.
Nonostante gli impegni presi dal Parlamento, dove era in discussione il nuovo disegno di legge per regolamentare la diffamazione, il 28 dicembre 2017, la legislatura si è conclusa senza approvare il progetto di legge per abolire il carcere per diffamazione (leggi).
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RDM
Le intimidazioni o qualsiasi altro sistema per imbavagliare i giornalisti è odioso e deve fare temere forme involutive della società. Nel mio piccolo, da semplice cittadino, esprimo piena solidarietà verso tutti quei giornalisti che per amore della verità, per la libertà di pensiero, per la libera espressione rischiano tutti i giorni (e non solo il carcere) non lasciandosi intimorire.