Calabria. Il caso del cronista Orofino intercettato con un trojan
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Senza essere indagato, durante le indagini per corruzione giudiziaria sul procuratore capo di Castrovillari traferito dal CSM
OSSIGENO 22 febbraio 2024 – In Calabria, le conversazioni fra il giornalista Paolo Orofino, 51 anni, redattore del Quotidiano del Sud, e un magistrato che era sotto indagine per corruzione giudiziaria, sono state spiate per due mesi con un trojan installato segretamente sul telefono cellulare del giornalista, per disposizione della Procura di Salerno. Il giornalista lo ha scoperto per caso cinque anni dopo, a gennaio 2024, consultando gli atti del processo giudiziario in cui quelle intercettazioni sono citate. Il giornalista ha accertato di non essere indagato nel procedimento giudiziario.
Il trojan ha fatto funzionare il telefono cellulare come un microfono ambientale. L’uso legittimo di questo strumento di intercettazione è consentito soltanto per le indagini giudiziarie su ipotesi di reato molto gravi. L’impiego sul telefono cellulare di un giornalista non indagato costituisce una violazione del segreto professionale e danneggia il suo lavoro e le sue fonti.
I FATTI – Nel 2019 la Procura di Salerno, competente per le indagini in cui sono coinvolti magistrati calabresi, stava indagando Eugenio Facciolla, l’allora procuratore capo di Castrovillari (CS), in quel periodo sotto inchiesta. A fine dicembre di quell’anno Paolo Orofino lo incontrò per gli auguri natalizi. L’incontro, di natura informale, avvenne nell’auto del magistrato, nella quale erano state installate microspie.
Nel 2019 il magistrato fu accusato di corruzione in atti giudiziari e la Commissione disciplinare del CSM, su proposta del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, lo trasferì in via cautelare al Tribunale civile di Potenza. Successivamente è stato prosciolto da una parte delle accuse e nel 2023 la Cassazione ha chiesto un nuovo pronunciamento del CSM.
Secondo la Procura salernitana il giornalista e il magistrato avrebbero parlato di “alcune carte ritenute riservate”. Gli inquirenti, forse a causa di una trascrizione lacunosa, ritennero fra l’altro che facessero ironicamente riferimento all’allora Procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, appellandolo col nomignolo di ‘Cicciobello’. Il telefono del cronista fu messo sotto controllo usando il trojan per “monitorare i contatti e i rapporti tra i due soggetti menzionati”, senza scoprire nulla.
Da quel momento Paolo Orofino fu spiato per due mesi attraverso lo strumento elettronico invasivo il cui impiego in genere è riservato a indagini per reati di terrorismo, mafia, narcotraffico e anche corruzione in casi di particolare gravità.
Il giornalista sapeva di essere stato intercettato in auto con il magistrato, ma non di essere stato spiato con il trojan. Quando è stato chiamato a testimoniare davanti al Consiglio Superiore della Magistratura ha chiarito, come hanno confermato altri autorevoli testi, che il nomignolo ‘Cicciobello’ non era riferito a Nicola Gratteri, e che egli aveva avuto rapporti normali con Eugenio Facciolla, relazioni lecite fra un cronista e un procuratore capo.
LE CAMERE PENALI – Il Coordinamento delle Camere penali calabresi ha preso posizione con una nota in cui parla di attacco degli apparati investigativi alla libertà di informazione e di “silenzio stampa, (quasi) totale” sulla vicenda. Fra le altre cose, la nota afferma: “Si levano scudi quando si denuncia l’abuso delle intercettazioni e si invoca la necessaria “separazione delle carriere” tra Uffici di Procura e mezzi di informazione, mentre passano quasi inosservati gli abusi dell’autorità inquirente contro la libertà di informazione”. Gli avvocati invitano tutti alla riflessione. “Se all’avvocatura compete il ruolo di “sentinella dei diritti”, ai giornalisti è assegnato il compito di essere il “cane da guardia della democrazia” (…). Paolo Orofino è stato intercettato “con il più potente, invasivo, indiscriminato strumento di spionaggio che la tecnologia militare ha messo a disposizione della lotta contro il Male della società”.
PAOLO OROFINO, contattato da Ossigeno, ha raccontato di essere sbalordito e turbato dalla scoperta di essere stato spiato con il trojan. Ha però scelto di non fare commenti. Non si esclude che possa rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per lamentare la violazione immotivata della sua riservatezza personale e professionale di giornalista, con una intercettazione che ha violato la riservatezza delle sue fonti fiduciarie, compromettendole.
I SUOI COLLEGHI – “L’uso dei trojan è legittimo, in alcuni casi previsti dalla legge -, ha commentato per Ossigeno il giornalista di lungo corso Massimo Razzi, che ha lavorato per il quotidiano La Repubblica, l’Unità e altri giornali e oggi collabora con il Quotidiano del Sud. “Lo ha ricordato l’ex procuratore capo di Torino Armando Spataro. Se ne deve fare sempre un uso molto attento, molto cauto essendo riservato a casi specifici molto importanti – prosegue Massimo Razzi -. Mettere il trojan nel telefono di un giornalista, oltretutto non indagato, serve solo a scoprire i suoi rapporti con le fonti, e questa è una grave violazione della libertà di stampa. In situazioni gravissime può essere plausibile, in questo caso specifico non era necessario. Anche se gli inquirenti lo avessero ritenuto necessario, avrebbero potuto fare in modo di attivarlo solo nei momenti in cui Paolo Orofino incontrava l’indagato Eugenio Facciolla in luoghi che erano già imbottiti di microspie. Hanno esagerato, sotto tutti i punti di vista. Prima di mettere un trojan nel telefono di un giornalista che non è neanche indagato, trasformandolo in un microfono ambulante, dovrebbero pensarci due volte. E poi non farlo”.
OSSIGENO per l’informazione esprime solidarietà a Paolo Orofino, di cui si è occupato in passato per un’altra vicenda (leggi). L’impiego di strumenti di intercettazione elettronica invasivi come il trojan ha delle chiare limitazioni che non dovrebbero essere mai superate, specialmente per l’impiego nei confronti dei giornalisti, che hanno diritto al segreto professionale per mantenere riservate le loro fonti fiduciarie, un diritto riconosciuto dalla legge. LT
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