Assistenza legale. Ossigeno difende in appello giornalista lucano che ha perso l’editore
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Filippo Mele di Scanzano Jonico è stato condannato in primo grado a pagare anche la parte dell’editore uscito dal processo perché fallito
OSSIGENO 26 maggio 2022 – Ossigeno per l’informazione, in collaborazione con Media Defence, ha assunto la difesa per il giudizio di appello del giornalista freelance Filippo Mele, condannato in primo grado al risarcimento del danno insieme ad altri colleghi e testate giornalistiche, fra cui Corriere della Sera e Repubblica.
Il giornalista è accusato di diffamazione in danno dei genitori di una ragazza venuta a mancare in circostanze tragiche e non completamente chiare, nel 1988. Sarà difeso in giudizio dall’Avv. Andrea Di Pietro e dal collega Francesco Mele.
Assumendo a proprie spese la difesa legale del giornalista Filippo Mele, Ossigeno per l’Informazione ripropone il grave problema irrisolto dei giornalisti che, durante i processi per diffamazione nati dalla pubblicazione di loro articoli, perdono l’appoggio dell’editore perché dichiara fallimento, e a questo punto devono farsi carico anche delle spese che sarebbero spettate all’editore. Filippo Mele è la dimostrazione vivente di questo problema.
IL FATTO – Come altre testate giornalistiche, nel 2007 la Gazzetta del Mezzogiorno diede conto dei nuovi elementi emersi nel corso delle indagini sulla tragica morte di un ragazzo e di una ragazza, indicati dalle cronache come i fidanzati di Policoro.
IL CASO – Filippo Mele, giornalista freelance, collaboratore da Scanzano Jonico del quotidiano la Gazzetta del Mezzogiorno, fu incaricato di aggiornare i lettori. Per un compenso di pochi euro, fornì un articolo conciso, descrivendo gli sviluppi delle nuove indagini, dicendo che esse facevano nascere l’ipotesi che il ragazzo e la ragazza fossero stati uccisi e che il delitto potesse essere collegato a indagini su vicende poco chiare.
Filippo Mele descrisse quegli sviluppi senza formulare giudizi sull’attendibilità della nuova pista, anzi ridimensionandone la portata. Non scrisse nulla che potesse giustificare la sua condanna in primo grado quale responsabile di diffamazione della vittima. Quella sentenza di primo grado sarà ora esaminata nel giudizio di appello
OSSIGENO ha deciso di accogliere la richiesta di assistenza legale di Filippo Mele perché la vicenda giudiziaria in cui è coinvolto è strategicamente utile per fare capire in quali precarie e incerte condizioni lavorano i giornalisti italiani.
Innanzitutto Filippo Mele è un giornalista freelance, un collaboratore esterno che in quanto tale gode di minori compensi e garanzie. In secondo luogo, egli affronta questo processo di appello da “orfano del suo editore”. Infatti durante la causa la società editrice della Gazzetta del Mezzogiorno (che pagava l’avvocato di Filippo Mele ed era tenuta a pagare almeno una quota dell’eventuale risarcimento) ha dichiarato fallimento. Quindi si è estinta quale soggetto giuridico e soggetto già condannato in solido al risarcimento del danno di 10.000 €.
Di conseguenza, se la condanna fosse confermata in appello, il giornalista Filippo Mele e il direttore responsabile dovrebbero pagare anche la quota di risarcimento della società editrice.
Non è la prima volta che in Italia si verificano aberrazioni di questo genere a danno dei giornalisti, aberrazioni che hanno messo in luce già dieci anni fa l’urgenza di una riforma legislativa e la necessità di costituire a livello editoriale un fondo di garanzia per aiutare chi senza colpa diventa orfano del suo editore. Questi problemi sono ancora irrisolti, nonostante i solenni impegni assunti da anni a livello politico e imprenditoriale.
Ciò che è accaduto tra questo giornalista e il suo editore è senza dubbio uno dei guai peggiori che da anni possono capitare ai giornalisti in Italia. Essi scrivono e pubblicano il loro articolo con la certezza di avere l’appoggio di un direttore responsabile e di un editore. Ma poi l’editore va gambe all’aria e loro si trovano ad affrontare la causa da soli, con il rischio, anzi la certezza, di dover far fronte da soli al pagamento delle spese legali e al pagamento del risarcimento del danno, non solo per la propria quota ma anche per la quota della società editrice che nel frattempo è fallita.
Clamoroso fu il caso analogo di Concita De Gregorio ex direttrice dell’Unità, e più recentemente il caso di Gianmarco Chiocci ex direttore de Il Tempo. Gli esempi sono numerosi, anche se meno conosciuti. Sono stati tutti dannosi per la libertà di informazione del nostro Paese.
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