Antonio Russo ucciso in Georgia 20 anni fa, era l’inviato di Radio Radicale
Le sue corrispondenze saranno online – La sua storia ricostruita dal sito di Ossigeno “Cercavano la verità – Si attende ancora giustizia per lui e altri reporter uccisi nelle aree di crisi e di guerra
OSSIGENO, 15 ottobre 2020 – Venti anni dopo la tragica morte, ancora senza colpevoli, Radio Radicale ricorda il cronista Antonio Russo con un convegno che si svolge venerdì 16 ottobre alla Camera dei Deputati. (vedi il video integrale). Alberto Spampinato ha ricordato che fu sequestrato, torturato e ucciso con modalità analoghe che ricordano la tragica morte di Giulio Regeni in Egitto e che non è stata fatta giustizia (vedi il suo intervento).
In occasione di questo anniversario, Radio Radicale ha digitalizzato le sue corrispondenze dai Balcani e dal Caucaso. Nel 2000, quando fu ucciso, all’età di 40 anni, in Georgia, Antonio era l’inviato di Radio Radicale nelle aree di crisi, nelle zone calde e rischiose dell’Est Europa. Era impegnato a “informare e documentare” scandali e abusi del potere e a svelare retroscena della guerra in Cecenia. Si pensa che fosse pronto a diffondere importanti informazioni inedite.
La storia di questo cronista appassionato, coraggioso, incurante dei rischi, non iscritto all’albo dei giornalisti, è ricostruita nel sito “Cercavano la Verità” creato da Ossigeno per l’Informazione che, con il corredo di documenti, testimonianze, racconta anche le storie di altri 29 cronisti italiani uccisi da chi ad ogni costo voleva impedire che continuassero a fare il loro lavoro di scomodi testimoni della realtà.
Il corpo senza vita di Antonio Russo fu ritrovato la notte tra il 15 e il 16 ottobre 2000, in una strada di campagna non lontano da Tbilisi, in Georgia, con segni di torture che hanno fatto pensare all’operato di reparti militari russi specializzati in queste turpi pratiche. Le due inchieste aperte per individuare e punire i responsabili, una in Georgia e l’altra in Italia, non sono approdate a nulla. Non si sono trovate conferme giudiziarie ai sospetti che ricadevano sui reparti militari, di cui il giornalista freelance cercava di documentare le violenze e l’uso di armi non convenzionali contro i civili.
La tormentata ricerca della verità per la morte di Antonio Russo somiglia a quella relativa alla morte del fotoreporter Andrea Rocchelli, ucciso in Ucraina nel 2014 insieme al suo collega e attivista politico russo Andrej Mironov, mentre da testimoni scomodi, documentavano fatti analoghi a quelli sui quali indagava Antonio Russo: le drammatiche condizioni dei civili intrappolati durante il conflitto del Donbass, durante gli scontri fra le forze ucraine e gli indipendentisti filorussi.
Proprio in questi giorni si svolge a Milano il processo di appello ai responsabili della morte di Andrea Rocchelli e per una volta con un imputato individuato e già condannato in primo grado. Un fatto non comune e perciò di grande interesse. Di solito, per vicende come quella di Antonio Russo e Andrea Rocchelli la strada della ricerca della verità è stata sbarrata invocando il fatalismo, ragioni politiche e convenienze diplomatiche e giustificando l’uccisione come una inevitabile conseguenza della guerra e dei conflitti armati e colpevolizzando i cronisti che hanno perso la vita, dicendo che si trovavano nel posto sbagliato. C’è un filo che collega le loro storie e c’è un’ansia di giustizia inappagata che le accomuna.
Non solo come amico ma anche come persona e giornalista posso solo congratularmi per l’iniziativa di Ossigeno per l’informazione, in modo che non cada nell’oblio la morte di un grande reporter, anche se non iscritto all’ordine. Cercherò di amplificare questa commemorazione