Antonio Russo, corrispondente di Radio Radicale, fu ucciso 21 anni fa in Georgia
Ossigeno lo ricorda sul sito “Cercavano la verità” trascrivendo una sua corrispondenza del 1999 da Pristina sulla pulizia etnica in Kosovo e con una testimonianza di Alessio Falconio
OSSIGENO 15 ottobre 2021 – Ventuno anni fa, il 16 ottobre 2000, fu ucciso in Georgia il cronista freelance italiano Antonio Russo, corrispondente e inviato di Radio Radicale nelle zone più rischiose e difficili. Non si sa come e da chi fu ucciso. Il suo corpo senza vita fu ritrovato a pochi chilometri da Tbilisi con chiari segni di tortura. Aveva quarant’anni. Si trovava in Georgia per documentare da lì, con le sue fonti, gli eccessi anti umanitari delle truppe russe in Cecenia. Dal 1999 l’esercito della Federazione Russa combatteva contro i separatisti per riprendere il controllo dei territori che avevano conquistato. Quello di Antonio era un lavoro difficile e pericoloso.
La madre del giornalista, Beatrice Russo, dichiarò che il figlio le aveva detto al telefono che si preparava a pubblicare importanti informazioni inedite. Si proponeva di farlo una volta rientrato in Italia.
Quale scoop aveva fatto? Non si è mai saputo. Fra gli audio registrati da Antonio, fra le sue carte non furono ritrovati appunti né riferimenti utili, né a Tblisi né altrove.
Sulla morte di Antonio Russo furono avviate due inchieste, una in Georgia e l’altra a Roma. Ma finora la giustizia non è riuscita a individuare i colpevoli.
Antonio Russo è stato inviato all’estero da Radio Radicale dal 1995 in poi. Non era iscritto all’Ordine dei giornalisti.
La sua storia è ricostruita sul sito “Ossigeno – Cercavano la verità” che raccoglie le vicende e l’attività giornalistica di trenta operatori italiani dell’informazione i uccisi da mafie, terrorismo e guerre. VEDI su www.giornalistiuccisi.it
LE CORRISPONDENZE – In occasione di questo anniversario Ossigeno per l’informazione pubblica su “Cercavano la verità” la trascrizione integrale di una corrispondenza rappresentativa dell’attività giornalista di Russo, svolta per illuminare da testimone presente sul terreno guerre intrise di chiaroscuri e contraddizioni. Ossigeno ha scelto la corrispondenza del 28 marzo 1999: in piena guerra del Kosovo, Antonio Russo è in collegamento da Pristina, con il giornalista Artur Zheji, nel corso della trasmissione notturna Filodiretto, e parla della situazione dei civili perseguitati.
Il conflitto tra la comunità serba e quella della popolazione kosovara era esploso nel febbraio del 1998. Il 28 marzo siamo alla vigilia di un nuovo attacco della Nato, che il 24 marzo 1999 aveva dato inizio alle operazioni aeree contro la Serbia di Milosevic. Anonio Russo è l’unico giornalista italiano rimasto in Kosovo in quelle ore, per documentare la pulizia etnica operata dall’armata serba contro i kosovari. Dopo che il governo di Belgrado aveva caldeggiato il ritiro di tutte le componenti internazionali, Russo decise di non lasciare quella regione perché reputava uno scandalo internazionale che gli operatori dell’informazione abbandonassero un Paese massacrato, torturato, piegato in un momento così cruciale.
Antonio Russo restò e fece collegamenti quotidiani con Radio Radicale a Roma, non sempre in condizioni ottimali. L’audio della corrispondeva scelta a tratti è disturbato, in quel 28 marzo 1999. Ma ciò non impedisce al cronista di descrivere dal vivo ciò a cui assiste e di commentare gli ultimi tentativi di mettere fine alla guerra. “Questo intervento della Nato ha certo creato cambiamenti, ma è fondamentale che ci sia un presenza delle truppe sul terreno altrimenti qui non si può prevedere quello che succederà”. CLICCA QUI per leggere la corrispondenza integrale.
COME LO RICORDA RADIO RADICALE – “La corrispondenza scelta da Ossigeno per l’informazione è molto significativa dell’attività di Antonio Russo, le sue parole ben spiegano il modo in cui lavorava”, dichiara Alessio Falconio, direttore di Radio Radicale, che incoraggia l’iniziativa di Ossigeno e ricorda chi era quel radicale giornalista. “Antonio Russo – sottolinea – aveva un approccio laico, cartesiano. Raccontava ciò che vedeva, spiegava quel che aveva capito attraverso la sua vita quotidiana che lo portava nelle case delle vittime della pulizia etnica. La sua lettura dei fatti era, per questo, politica, ancorata alle storie della gente che raccontava. Abitava nelle loro case, condivideva le loro sofferenze, in un mondo che cambiava in modo così repentino e drammatico. Vedeva con gli occhi delle persone che lui aveva deciso di non lasciare al buio dell’informazione propagandistica. Attraverso lui parlavano le persone che vedeva subire quelle violenze inaudite”. “Non ebbe paura di essere impopolare, difendendo le ragioni dell’intervento della Nato in Kosovo. Per questo subì le critiche e gli attacchi di chi chiedeva, in nome del pacifismo, che le truppe occidentali non si intromettessero in ciò che stava accadendo in quel mondo che diventava ex. Per questo non era un giornalista radicale, era un radicale giornalista”, conclude Alessio Falconio.
GPA
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