Andy Rocchelli fu ucciso in Ucraina 7 anni fa. Perché? Lo zig zag della giustizia
Il fotoreporter freelance di Pavia era nel Donbass per documentare le sofferenze dei civili – La sua storia e l’iter dei processi sul sito Ossigeno – Cercavano la verità
OSSIGENO 22 maggio 2021 – Il fotoreporter Andrea Rocchelli ( “Andy” per i suoi amici) attende ancora giustizia. Fu ucciso sette anni fa, il 24 maggio del 2014, insieme al giornalista russo Andrei Mironov, da bombe di mortaio lanciate da una postazione della Guardia Nazionale ucraina, ad Andreyevka, a pochi chilometri dalla città di Sloviansk, nell’Ucraina orientale. Andy aveva 30 anni. Era andato lì per raccontare le drammatiche condizioni dei civili, coinvolti loro malgrado nelle operazioni militari della guerra per il controllo della regione del Donbass (territorio ucraino che i separatisti filo russi dichiararono indipendente). Andrea Rocchelli voleva documentare episodi di violazione dei diritti umani che venivano segnalati. Dopo 7 anni e due processi penali non è stato ancora possibile accertare se lui e il suo collega e amico russo furono uccisi per impedire che documentassero quei fatti o perché, come sostengono le autorità ucraine, furono scambiati per una pattuglia nemica ostile.
CELEBRAZIONI – Ossigeno per l’informazione, l’unica testata giornalistica italiana che ha seguito con un proprio cronista tutte le udienze di questo processo e ha pubblicato cronache e analisi che fanno capire quali elementi sono stati valutati e come, in occasione di questo anniversario aggiorna il dossier “Guerre, giornalisti uccisi e impunità” (leggi qui) che ripropone quelle cronache insieme ad analisi e inquadramenti che fanno vedere che non soltanto per Andrea Rocchelli la giustizia fa fatica a leggere queste tragiche vicende rinunciando a indossare le lenti della ragion di stato e delle convenienze diplomatiche.
Lunedì 24 maggio alle ore 17 i genitori di Andrea Rocchelli e l’avv. Alessandra Ballerini che li ha rappresentati nel processo di Pavia e di Milano parteciperanno a un incontro promosso da Articolo 21 – Link per seguire l’incontro
IL PROCESSO – L’inchiesta avviata dai magistrati italiani ha permesso di formulare accuse di omicidio volontario contro i militari ucraini e le autorità di Kiev e di celebrare un processo a loro carico in Italia. Questo processo, che finora si è concluso in appello senza condanne, ha avuto alterne vicende. Si attende ora il verdetto della Cassazione, alla quale hanno fatto ricorso la Procura di Milano e i familiari di Rocchelli.
DA PAVIA A MILANO – Al processo di primo grado che si è celebrato nel 2018-2019 a Pavia l’imputato italo-ucraino Vitaly Markiv, soldato della guardia nazionale Ucraina, è stato condannato per omicidio a 24 anni di reclusione, con l’aggravante di crimini contro l’umanità. Il 3 novembre 2020, la corte d’assise d’appello di Milano ha ribaltato la sentenza di primo grado: l’imputato è stato assolto “per non aver commesso il fatto” ed è stato scarcerato. La motivazione della sentenza ha fatto sapere che le prove raccolte a Pavia contro l’imputato sono state invalidate per un vizio di forma. Otto testimonianze di militari ucraini sono state invalidate perché questi testimoni non erano stati esplicitamente informati che potevano avvalersi della facoltà di non rispondere. Una circostanza che non riguarda il contenuto delle loro deposizioni.
(ha collaborato Giacomo Bertoni)
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