Ancora carcere per diffamazione. A Lecce il pm chiede 6-12 mesi
A breve la sentenza per 4 giornalisti processati da otto anni per una querela dell’ex ministro Teresa Bellanova. Ossigeno: il parlamento riprenda l’iter per cambiare questa legge
OSSIGENO 4 novembre 2022 – È attesa il 14 novembre 2022 a Lecce la sentenza di un processo per diffamazione a mezzo stampa davanti al giudice onorario Michele Guarini, promosso da Teresa Bellanova (già senatrice e Ministro delle Politiche agricole e forestali e oggi presidente di Italia Viva) contro quattro giornalisti. Una sentenza che ha suscitato preoccupazione, perché il 17 ottobre 2022 il pm ha chiesto la condanna degli imputati a pene detentive. Per tre di loro (Danilo Lupo, Mary Tota e Francesca Pizzolante) il pubblico ministero, vice procuratore onorario Antonio Zito, ha chiesto sei mesi di reclusione. Invece per il quarto, Maurizio Pascali (ex addetto stampa di Teresa Bellanova), un anno di reclusione.
L’Ordine dei Giornalisti e altre organizzazioni dei giornalisti hanno commentato con preoccupazione la richiesta di condanne a pene detentive per il reato di diffamazione a mezzo stampa, ricordando che già nel 2021 la Corte Costituzionale ne ha limitato l’applicazione e che il Parlamento discute da molti anni la proposta di abolirle del tutto perché hanno un carattere intimidatorio.
OSSIGENO per l’Informazione condivide le preoccupazioni dell’Ordine dei Giornalisti e si augura che la sentenza tenga conto degli orientamenti più volte espressi dalla Corte europea dei Diritti Umani di Strasburgo (CEDU) che, in considerazione dell’effetto raggelante (chilling effect) delle condanne a pene detentive per danni alla reputazione, chiede che la diffamazione a mezzo stampa sia depenalizzata e che le pene detentive siano applicate soltanto quando queste violazioni siano commesse con incitamento all’odio, alla violenza, alle discriminazioni etniche, religiose o razziali. “La giurisprudenza della Corte Europea – ha dichiarato il direttore di Ossigeno, Alberto Spampinato – è direttamente applicabile in Italia. Nel nuovo parlamento, chi vuole veramente difendere lo stato di diritto e la libertà di stampa e di espressione deve completare l’iter iniziato dalla Corte costituzionale per la rideterminazione delle pene per questo reato, distinguendo fra l’altro fra diffamazione colposa e dolosa, e riprendendo la proposta presentata nel 2015 dalla Commissione Parlamentare Antimafia, che ripropone nella sostanza i criteri della CEDU”.
IL PROCESSO di Lecce è iniziato nel 2014, quando Teresa Bellanova era deputata del Pd, e ha denunciato per diffamazione e concorso in tentata estorsione i giornalisti che avevano dato notizia (Danilo Lupo per La7, Mary Tota per ilfattoquotidiano.it e Francesca Pizzolante per Il Tempo), in termini a suo avviso scorretti, di una causa di lavoro intentata contro di lei dal suo ex addetto stampa Maurizio Pascali. Nel corso del processo l’accusa di tentata estorsione è stata derubricata dalla procura, il processo è proseguito per la sola imputazione di diffamazione a mezzo stampa.
L’ANTEFATTO – I tre giornalisti avevano riferito che Maurizio Pascali nel 2014 aveva chiesto un risarcimento a Teresa Bellanova e al Partito Democratico locale per il mancato riconoscimento del suo inquadramento lavorativo con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) pur avendo svolto, a suo dire, mansioni da dipendente subordinato e a tempo pieno. Il 22 giugno 2022 la Corte d’Appello di Lecce gli ha dato ragione, condannando Teresa Bellanova e il PD a versargli un risarcimento di 50mila euro. GB
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