Sentenza. Legittimi i dubbi su operato pm del giornalista non indagato ma intercettato
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Il magistrato aveva chiesto 80 mila euro di risarcimento danni, ora deve invece pagare le spese legali. Su Enrico Barbetti del Carlino, non indagato, furono acquisiti dati telefonici
OSSIGENO 3 giugno 2021 – Con sentenza di primo grado del 6 maggio 2021, la giudice Martina Marinangeli del tribunale di Ancona ha respinto la citazione per risarcimento danni dell’ex procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, nei confronti del giornalista del Resto del Carlino Enrico Barbetti, accusato di diffamazione e calunnia. L’ex magistrato è stato anche condannato a pagare le spese legali per oltre 6mila euro. Enrico Barbetti ha detto a Ossigeno di essere soddisfatto della sentenza e che preferisce non fare ulteriori commenti.
Il processo civile era nato con la richiesta di 80mila euro di danni che il magistrato, ora in pensione, chiedeva al cronista quale risarcimento, avendo ritenute lesive le sue affermazioni in un esposto presentato a dicembre del 2017. Con quell’atto Barbetti, di cui Ossigeno ha riferito in merito ad altre vicende (leggi qui e qui) chiedeva di chiarire se fosse stata legittima l’acquisizione, da parte dell’ex procuratore, dei suoi tabulati telefonici e di quelli di altri cronisti nell’ambito di un’inchiesta in cui né lui né gli altri erano indagati, né in contatto con indagati.
L’ESPOSTO – Enrico Barbetti, assistito dagli avvocati dell’Aser (Associazione Stampa Emilia Romagna) Alberto Piccinini e Mara Congeduti insieme al collega Mauro Buontempi di Ancona, a dicembre 2017 si è rivolto al Ministro della Giustizia, alla Procura Generale della Cassazione, al CSM, alla Procura Generale della Corte di Appello e alla Procura di Ancona (competente sulle cause che coinvolgono magistrati bolognesi) chiedendo di far luce sulla legittimità dell’operato di Giovannini che, nell’ambito di una inchiesta, aveva acquisito i suoi tabulati telefonici e quelli di altri giornalisti senza che fossero indagati o coinvolti.
Ne era scaturito un procedimento a carico del magistrato, poi archiviato, il quale ha spiegato di avere agito per il fine di “individuare le fonti di informazione, potendo da esse ricostruire meglio qualche contorno della complessa vicenda d’indagine”. L’acquisizione dei tabulati era già emersa a ottobre 2017 (vedi), riportata da articoli di stampa, e l’Aser aveva chiesto chiarimenti alla Procura su un fatto ritenuto lesivo per la libertà di informazione e per il diritto alla tutela delle fonti. Poi l’esposto ufficiale, nel quale Barbetti formulava anche il sospetto, sulla base di fonti confidenziali di cui precisava non avere riscontri diretti, di ulteriori controlli sui tabulati dei cronisti oltre a quelli già appurati, chiedendo di verificare se l’ipotesi corrispondesse a verità. Tali affermazioni sono state ritenute lesive dal magistrato che, rappresentato dall’avvocato Riccardo Carboni, ha citato a giudizio il giornalista per calunnia e diffamazione. Il difensore del magistrato ha annunciato ricorso in appello.
LA SENTENZA – Dopo tre anni il giudice Martina Marinangeli ha stabilito che il contenuto di quell’esposto non era in alcun modo calunnioso o diffamatorio come invece ritenuto dall’ex procuratore Giovannini. “L’esposto (del giornalista Enrico Barbetti, NDR) – si legge in sentenza – si pone in termini non assertivi ma dubitativi, con espressa richiesta di verifica se la condotta tenuta sia conforme alla legislazione vigente e con espresso riferimento dell’assenza di riscontri documentali a sostegno di quanto riferito da fonti confidenziali su prassi illecite (…) pertanto, proprio in quanto indirizzato alle autorità competenti ad accertare eventuali illeciti penali e disciplinari e non anche ad un pubblico indistinto, non trasmoda in una condotta illecita…La ratio viene individuata nel bilanciamento tra due beni costituzionalmente protetti, il diritto di critica (art 21 Cost.) e quello alla dignità personale (artt. 2 e 3 Cost.), risolto con prevalenza alla libertà di parola, senza la quale la dialettica democratica non potrebbe realizzarsi”.
L’AVVOCATO Alberto Piccinini, uno dei difensori del giornalista, ha così commentato la sentenza per Ossigeno: “E’ una vittoria importante perché sancisce il principio della libertà di espressione, che spesso subisce pressioni, nella consapevolezza, da parte di chi scrive, di dover bilanciare le parole con attenzione. Qui il punto era anche un altro. Enrico Barbetti non è stato citato a causa di un articolo ritenuto diffamatorio, ma perché si è rivolto a organi competenti sollevando il problema di un eventuale abuso di potere. Il nodo da risolvere era se il controllo dei tabulati senza essere indagati fosse legittimo o meno. La giudice, con puntuali argomentazioni, ha dichiarato insussistenti sia la diffamazione e sia la calunnia, e ha escluso che nell’esposto fossero stati violati i requisiti che pacificamente definiscono i confini della libertà di espressione: verità e continenza. Ha invece ritenuto tutelabile il diritto alla riservatezza delle fonti. E in punto di quantum risarcitorio, la giudice non poteva che appurare non essere stata fornita alcuna prova del danno patito, neanche in via presuntiva”. LT
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