Abruzzo. Perchè Lilli Mandara è stata condannata
La giornalista deve pagare 62,5 mila € di danni al senatore Luciano D’Alfonso, ex presidente della Regione per tre articoli pubblicati nel 2016. Ha presentato appello
Il 9 dicembre 2019 il giudice del Tribunale civile di Pescara, Marco Bortone, ha stabilito che la giornalista Lilli Mandara dovrà versare 62,5 mila euro di risarcimento danni più gli interessi legali all’ex presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, attualmente senatore della Repubblica, e dovrà pagare poco più di 14 mila euro di spese di giudizio, per un totale di 76 mila euro. Lilli Mandara ha presentato appello e ha chiesto la sospensiva del pagamento. Luciano D’Alfonso aveva chiesto 150 mila euro di risarcimento danni (Leggi il precedente).
I FATTI – Lilli Mandara è stata citata in giudizio nel 2016, in relazione a tre articoli pubblicati sul suo blog Maperò. Gli articoli riguardavano il suo operato di presidente della Regione per il progetto di un nuovo ospedale a Chieti. Secondo la giornalista, egli avrebbe favorito una società che concorreva all’appalto. Luciano D’Alfonso ha considerato queste affermazioni false e offensivi. Il Tribunale gli ha dato ragione.
LA SENTENZA – Il giudice, richiamando alcune sentenze della Cassazione, ha sottolineato che anche il diritto di critica, al pari di quello di cronaca, è “condizionato dal limite della continenza sia sotto l’aspetto della correttezza formale dell’esposizione, sia sotto quello essenziale della non eccedenza dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse”. Inoltre, scrive che “il requisito della continenza si atteggia non solo come correttezza formale delle espressioni adoperate, ma anche come corretta manifestazione delle proprie opinioni”, senza che queste possano in maniera allusiva alterare il significato dei fatti. Il giudice, infine, richiamando la “sentenza decalogo” emessa dalla Cassazione nel 1984, aggiunge che “la forma della critica non è civile quando non è improntata a leale chiarezza, quando cioè il giornalista ricorre al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionati, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato o comunque all’artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre, alle vere e proprie insinuazioni. In tali ipotesi l’esercizio del diritto di stampa può costituire illecito civile anche ove non costituisca reato”.
LEGGI IL COMMENTO DELL’AVV. ANDREA DI PIETRO:
Perché in sede civile i giornalisti rischiano di più
RDM
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!