Fake news. Paolo Fallai, diffidare sempre, a costo di essere antipatici
La ricetta del presidente di Biblioteche di Roma al corso di formazione organizzato con Ossigeno. Cosa possono fare i giornalisti per distinguere fra vero e falso
Questa relazione di Paolo Fallai, giornalista e presidente di Biblioteche di Roma, è stato pronunciato martedì 12 giugno 2018, a Roma, in apertura del corso di formazione deontologico che ha avuto per tema il modo in cui lettori e giornalisti possono difendersi dalle fake news. Le altre relazioni sono state svolte da Giuseppe F. Mennella e da Alberto Spampinato. Il convegno si è svolto a Roma, in Via Ulisse Aldrovandi 16, dalle ore alle 14. Vi hanno partecipato 104 giornalisti registrati.
La consacrazione è di questi giorni. Dal 3 giugno va in onda sulle principali televisioni lo spot della nuova compagnia telefonica Iliad. Lo spot gioca sul contrasto tra “vero” e “falso”, mettendo in risalto le apparenze e la realtà dei fatti. Una frecciatina velenosa verso tutti gli operatori di telefonia che, sotto le sembianze di imperdibili sconti e offerte, approfittando di cavilli burocratici e costi nascosti, hanno nel tempo regalato spiacevoli sorprese agli utenti italiani.
Non ho usato con leggerezza la parola consacrazione: questo spot rappresenta la legittimazione, il riconoscimento generale che il rapporto vero/falso, la veicolazione di informazioni non corrette, sono una caratteristica del nostro tempo. Un fenomeno talmente presente nelle nostre vite da poter essere utilizzato dalla pubblicità come esempio negativo, nella convinzione che la gran massa dei consumatori avrebbe capito al volo.
Quindi l’invasione delle fake news, l’alluvione della post verità che avrebbe sommerso le nostre certezze, annegandoci in un mare di informazioni senza controllo, è “il” problema del nostro tempo? Proprio no.
Tutta la nostra storia è fatta di informazioni false, di manipolazioni.
L’Iliade e l’Odissea sono piene di false notizie messe in circolo quasi sempre dagli dèi per confondere i mortali. Il cattolicesimo – oltre a scegliere con estrema attenzione quali vangeli approvare e quali dichiarare eretici, ha costruito una bufala gigantesca, la Donazione di Costantino, per sostenere il potere temporale dei Papi.
Cosa è successo?
In realtà molto. Il nostro tempo viene investito da una quantità di informazioni – badate, mi limito ai numeri – che non ha precedenti nella storia dell’umanità. La rivoluzione digitale ci mette nella condizione di avere accesso ad una quantità spaventosa di fonti. Anche questo non è mai successo. E certamente la verifica, il controllo, il confronto sono tutti meccanismi lenti e faticosi rispetto alla semplice e riposante immediatezza di una stupidaggine.
Cinquant’anni fa, parlando di televisione, Andy Warhol profetizzava “Nel futuro ognunodi noi sarà famoso per 15 minuti”. Aveva torto, l’esplosione dei social e la manifestazione dell’ego individuale fa sì che molti aspirino sì alla celebrità ma almeno 15 minuti ogni giorno, basata sul numero dei “like” e sull’assunto filosofico “La pura e semplice verità è che i bugiardi sono gli altri, cioè tutti coloro che non ci danno ragione”.
Quindi, siamo diventati più babbei? Abbiamo perso la capacità critica? No, o meglio sì, ma anche perché siamo storditi.
E disarmati, perché l’ignoranza non ci aiuta a combattere questa battaglia.
La preparazione culturale dei cittadini non è una priorità nel governo del nostro tempo e non lo è in modo drammatico in Italia.
Nel nostro Paese le competenze linguistiche e scientifiche sono al di sotto della media dei Paesi dell’Ocse. Siamo ultimi nelle «competenze alfabetiche» dietro Spagna e Francia (penultima e terzultima), ben distanti da Giappone e Finlandia che guidano la classifica internazionale.
Sono i risultati sconsolanti del programma PIAAC, l’indagine internazionale promossa dall’OCSE: gli adulti italiani (dai 16 ai 65 anni) dimostrano un limitato possesso di competenze , con punteggi inferiori alla media Ocse, che li collocano all’ultimo posto della graduatoria relativa alle competenze alfabetiche funzionali (literacy) ed al penultimo della competenze matematiche funzionali (numeracy).
La popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni, che non ha un diploma di scuola secondaria superiore è circa il 45%, contro un dato europeo del 25% ; pensare che l’obiettivo di Lisbona 2010 puntava a contenere sotto il 15% la popolazione priva di diploma.
Ogni anno La Sapienza pubblica il Rapporto sullo stato sociale, curato dalla Facoltà di Economia. Ci sono numeri illuminanti e spaventosi- In Italia la spesa per l’istruzione, tra le più basse dell’Unione, ed è in calo costante: nel 2014 è scesa al 4,1% del Pil rispetto al 4,4, del 2010, di fronte a una media europea del 5,3%.
Noi spendiamo 9300 euro per studente, contro gli 11 mila della Francia, gli 11.500 della Germania e i 14 mila di Austria, Regno Unito e Svezia. Sconfortante il dato sul tasso di alfabetizzazione dei nostri adulti: il 70% di questi non raggiunge un livello “minimo e indispensabile per un positivo inserimento nelle dinamiche sociali ed economiche”.
Non pensate a qualcosa di complicato: significa che 7 adulti su 10 non sanno comprendere cosa c’è scritto nel foglietto illustrativo che accompagna i medicinali e che non casualmente viene chiamato “bugiardino”.
Un modo di dire simpatico e che mette un po’ alla berlina l’ufficialità del “foglietto illustrativo” e che ci riguarda più di quanto immaginate: nel senese gli anziani chiamavano il bugiardo la locandina dei quotidiani esposta fuori dalle edicole.
Quindi stiamo parlando di fake news, cioè di bufale, ma sentirete nel corso di questa mattinata quanto sono pericolose e diffuse le hate news, notizie false diffuse da odiatori per lo più vigliacchi, coperti dal comodo anonimato e che sono capaci di vomitare insulti che di persona non sarebbero in grado di pensare.
E come abbiamo visto parliamo di ignoranza, cioè dell’incapacità a governare gli strumenti critici per validare o confutare queste notizie. Oral’ignoranza è un vecchio problema – da sempre chi detiene una conoscenza tende a non condividerla – ma il fatto che l’ignoranza sia diventata, “una vera e propria virtù” questo è un problema decisamente nuovo.
La conoscenza e i suoi nemici è un libro di Tom Nichols, un professore di Harvard molto preoccupato, che vi consiglio caldamente di leggere.
L’ignoranza non è più una menomazione della quale liberarsi ma è diventata, per la prima volta nella nostra storia, una condizione da rivendicare come antidoto alle competenze, che sono solo la foglia di fico dell’establishment e della “casta”. Dopo avere letto il libro di Nichols – ha scritto Michele Serra – ho pensato che forse il problema è il consumismo: se quello che conta è ciò che si ha, ciò che si sa passa in second’ordine. Anzi, sapere potrebbe ostacolare il consumare: il consumatore perfetto è l’ignorante, e l’ignorante perfetto è il consumatore.
Ora nessuno di noi abiterebbe al ventesimo piano di una casa costruita da un suonatore di oboe, o si sottoporrebbe ad una operazione chirurgica a cuore aperto condotta da un poeta. Le competenze sono indispensabili. Mi dispiace ma non sempre uno vale uno. Non siamo tutti uguali.
Viviamo la grande confusione per cui “democrazia” sia sinonimo di uguaglianza su tutti i fronti. Eppure, sottolinea Nichols, la democrazia è “solo” una forma di ordinamento di governo:
“avere pari diritti non significa avere pari talenti, pari abilità o pari conoscenza”.
Più di mezzo secolo fa, in Anti-Intellectualism in American Life, lo studioso della politica Richard Hofstadter sottolineò la complessità crescente della nostra società e scrisse: «Un tempo l’intellettuale era bonariamente preso in giro perché non serviva; ora suscita profondo fastidio perché serve troppo».
E tutto questo avviene in una fase in cui il confronto è assente. Siamo completamente disabituati a metterci in discussione, ad ascoltare un diverso parere, a mettere in pratica qualsiasi processo di verifica e validazione.
Così ignoriamo le informazioni che ci contraddicono.
E sottovalutiamo il fenomeno cognitivo che ci spinge a ricercare, selezionare e interpretare informazioni che avvalorano le nostre convinzioni, e viceversa, a ignorare o sminuire quelle che le contraddicono.
Così finiamo per parlare solo all’interno del circolo di persone che la pensano come noi, ci apriamo solo con tifosi della stessa fede, non usciamo mai da queste scatole chiuse nelle quali manca l’aria.
E permettiamo nuove e inedite forme di discriminazione e fascismo.
Nessuno oggi si sognerebbe di escludere qualcuno dalla vita di una democrazia moderna per il colore della sua pelle o perché non è abbastanza ricco – beh… diciamo quasi nessuno -.
Eppure la conoscenza della rete e del suo utilizzo rappresentano un discrimine fondamentale per vivere pienamente il nostro ruolo di cittadini.
L’ignoranza della legge non è mai stata una scusante per non rispettarla, ma i canoni a fondamento delle leggi non sono mai stati inaccessibili.
In realtà oggi l’ingarbugliamento e la moltiplicazione delle norme ha fatto sì che esistano intere categorie di “intermediari” cui ci affidiamo per non incorrere in errore. E spesso non basta.
La burocrazia è una selva tale che siamo legati mani e piedi a mandatari delle verità burocratiche che le esercitano in una situazione in cui è difficile controllarli perché ad ogni scelta corrisponde l’interpretazione di una norma e vi assicuro che un codicillo per non prendere una decisione si trova sempre.
Questo sistema crea nuove classi, nuovo sfruttamento, nuove aree di potere senza adeguati controlli, nuovi attacchi alla democrazia.
E non ci sono leggi che possono difenderci
I deputati francesi hanno cominciato pochi giorni fa a esaminare due testi di legge contro la «manipolazione dell’informazione». L’idea di affidare a un giudice il compito di stabilire che cosa sia vero e che cosa sia falso è stata più o meno abbandonata, ci si accontenta di perseguire «l’affermazione di un fatto privo di elementi verificabili che possano renderla verosimile»: dalla difesa del vero si passa a quella del verosimile. È stato il presidente Emmanuel Macron a impegnarsi per ottenere una legge contro le notizie false e diffuse ad arte, dopo esserne stato lui stesso vittima. Tra il primo e il secondo turno dell’elezione presidenziale, un anno fa, Marine Le Pen rilanciò la voce totalmente infondata che Macron avesse un conto segreto alle Bahamas. Molto perplesso il Sindacato nazionale dei giornalisti francesi. Molti denunciano il rischio di abusi che potrebbero portare a forme di censura, altri ricordano che già adesso la legge del 1881 sulla stampa punisce la diffamazione. Jérôme Fenoglio, direttore di Le Monde, parla di una «legge inutile» e ribalta la prospettiva: «Il maggiore problema delle nostre società non sta tanto nelle notizie false, ma nel fatto che molti cittadini abbiano scelto di considerarle vere».
Nell’avviarmi a concludere vorrei soffermarmi ancora su due concetti cui tengo molto.
Il primo è la risposta a una domanda: perché questo corso di formazione per giornalisti si tiene nella sede centrale delle Biblioteche di Roma? Non è una ospitalità come se ne fanno tante.
Siamo qui perché le biblioteche sono una trincea, un avamposto difensivo, luoghi eretici dove le discussioni tra carta e digitale per fortuna ormai sono preistoria e dove una setta semiclandestina e malpagata – i bibliotecari – coltiva il culto dell’accesso libero al sapere. Alla comparazione, alla verifica, alla validazione che nasce solo dal confronto dei punti di vista.
Perché in questi centri culturali, tali sono ormai le biblioteche, si difende il concetto stesso di democrazia, ci si difende dai rischi di una formazione priva di confronto, si imparano due condizioni essenziali per vivere il nostro tempo: la diffidenza e la solidarietà.
Noi intendiamo il ruolo delle biblioteche pubbliche come il tentativo di rispondere a quello che ci chiede l’articolo 3 della Costituzione
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Le nostre biblioteche hanno solo un clamoroso difetto: non si paga per entrare, non produciamo utili. O meglio gli utili che siamo in grado di produrre non finiscono in un bilancio, e siamo sempre a caccia di qualche risorsa, ma danno una mano per formare cittadini consapevoli.
L’ultimo concetto riguarda il ruolo che possiamo svolgere noi giornalisti in questo mare in tempesta.
Intanto possiamo aggiornare le nostre difese. Il mio primo direttore, Sergio Lepri, aveva coniato una bellissima definizione della notizia.
La notizia è un fatto che produce un cambiamento. Non abbiamo motivi validi per contestarla. Possiamo integrarla, arricchirla, renderla più coerente con questo nostro mondo e il suo pensiero unico basato sul profitto:
La notizia è un fatto che produce un cambiamento e che non conviene in modo esagerato a qualcuno.
Quando una notizia conviene troppo a qualcuno, dovrebbe scattare in noi una improvvisa diffidenza, una reazione allergica.
Un collega della Bbc mi ha raccontato che il suo capo redattore si raccomandava sempre quando dovevano intervistare qualcuno di tenere a mente questa domanda, chiunque fosse l’interlocutore intervistato: perché questo lurido figlio di puttana mi sta raccontando queste storie?
Aiuta, diceva il collega della Bbc, a tenere la giusta distanza.
Quindi siate diffidenti, a costo dell’antipatia, del pessimismo. Ricordate la prima legge di Murphy: se una cosa può andare male andrà peggio.
Fate del vostro scetticismo uno stile.
Siate umili: non abbiate timore di chiedere chiarimenti, non abbiate mai paura di domandare a chi ne sa di più. E non accontentatevi di una risposta sola.
Abbiate fiducia nel vostro istinto. I buoni giornalisti sentono le notizie false come chi ha l’orecchio assoluto percepisce una semicroma sbagliata.
Quando intorno al 1430 Lorenzo Valla cominciò ad esaminare il documento che conteneva la “donazione di Costantino” a convincerlo fu una sensazione. C’era qualcosa in quel testo che non lo convinceva, ma non aveva prove, né segnali chiari. Cominciò ad esaminarlo parola per parola e capì. Quel documento conteneva parole che non esistevano al tempo in cui si riteneva fosse stato scritto. Non si può citare Costantinopoli in un tempo in cui esisteva ancora e solo Bisanzio.
Questo non risparmiò a Lorenzo Valla un mare di guai e non vide mai in vita il suo studio pubblicato. Ma è uno dei nostri padri e dovremmo dedicargli un pensiero grato, d’altronde se avessimo avuto paura dei guai avremo scelto un altro mestiere.
Dunque siate diffidenti, siate umili, abbiate fiducia nel vostro istinto e pretendete il vostro tempo.
Questo è forse il consiglio più ingrato in un momento
in cui la rapidità di diffusione di una notizia sembra prevalere su qualunque altra motivazione: l’attendibilità, la completezza, la cura.
Per tutta la vostra vita professionale dovrete combattere tra queste regole fondamentali e un capo redattore che vi starà sul collo.
E posso dirlo solo perché ho fatto il capo redattore per vent’anni.
Non vi azzardate a dirgli “devo fare una verifica”, non provate a pronunciare la frase “manca una conferma”. Non vi sognate mai di dire “non mi convince” . Tutto questo è inutile per il capo redattore che non lo ascolterebbe nemmeno. D’altronde lui vi sta sul collo perché il suo di collo è interamente occupato dai vicedirettori e il loro dal direttore. Che non può nemmeno respirare avendo sul collo l’editore e la proprietà. Aprire un dibattito è inutile. Prendete il vostro tempo con ogni mezzo possibile. Tutto quello che potete fare per controllare la vostra notizia non è giusto. E’ sacrosanto.
Nessuno ce lo riconosce, ma in questo nostro mondo di spacciatori di bufale, odiatori di professione, calunniatori, tutti rigorosamente anonimi, c’è una sola categoria umana prima che professionale, che continua mettere la faccia, il nome e il cognome sotto a quello che scrive: i giornalisti.
Siccome sotto a quell’articolo che state scrivendo c’è il vostro nome – e siccome il nome è l’unico bene di cui disponiamo – ripeto: prendete il tempo per le verifiche con ogni mezzo possibile.
Ho finito e posso finalmente rispondere alla domanda su quale ruolo possiamo svolgere inun’epoca in cui la cattiva informazione scaccia la vera conoscenza.
E’ semplice: contro le notizie false non ci sono leggi, regolamenti, proclami. Ci siamo solo noi e siamo indispensabili. Per l’informazione libera e per la democrazia.
Paolo Fallai
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