Processo Rocchelli. Ci presero di mira, racconta un sopravvissuto
di Giacomo Bertone – Il racconto del fotoreporter francese William Roguelon che viaggiava in auto insieme con Andrea al momento dell’attacco nel Doubass
Questa cronaca di Giacomo Bertoni è stata prodotta in collaborazione tra Ossigeno per l’informazione, La Provincia Pavese, Unione Nazionale Cronisti Italiani, Ordine Giornalisti Lombardia per integrare le cronache dei media con un resoconto oggettivo, puntuale ed esauriente dello svolgimento del processo in corso al Tribunale di Pavia in cui è imputato il presunto responsabile dell’uccisione del fotororeporter italiano Andrea Rocchelli e del giornalista russo Andrey Mironov. Questo testo è stato pubblicato sul sito web ossigeno.info ed è stato inviato a Vienna al Rappresentante per la Libertà dei Media dell’Osce, che segue con attenzione la vicenda.
Venerdì 30 novembre 2018 si è tenuta nell’aula della Corte d’Assise del Tribunale di Pavia la terza udienza del processo al presunto assassino del fotoreporter Andrea Rocchelli. L’avvocato che rappresenta l’Ucraina ha chiesto che lo Stato non sia chiamato a rispondere in sede civile qualora l’imputato Markiv fosse ritenuto colpevole. La richiesta è stata respinta dalla Corte.
Protagonista della lunga giornata processuale è stato William Roguelon, il fotoreporter francese sopravvissuto all’attacco costato la vita ad Andrea Rocchelli e ad Andrei Mironov.
William Roguelon non fa più quel lavoro. Lo ha spiegato lui stesso a Pavia, dove ha risposto a oltre venti domande del pm Andrea Zanoncelli, che attraverso i suoi ricordi ha cercato di ricostruire ciò che avvenne veramente a Sloviansk quel 24 maggio del 2014.
L’avvocato Alessandra Ballerini, legale della famiglia Rocchelli, costituitasi parte civile, ritiene che il fotoreporter francese abbia fornito nuovi importanti dettagli che confermano la tesi dell’attacco deliberato. «Fra l’altro, Roguelon ha sottolineato che il taxi su cui viaggiava insieme agli altri giornalisti aveva la sua insegna bene in vista, i fotoreporter indossavano abiti civili e i loro apparecchi fotografici erano ben visibili».
«Io, Andrea, Andrei e il nostro autista stavamo viaggiando insieme nella stessa auto. Avevamo appena saputo – ha raccontato Roguelon – che un villaggio vicino era stato bombardato e volevamo raggiungerlo. A un certo punto ci siamo fermati per fotografare un treno abbandonato dai pro-russi all’incrocio di una strada per impedire l’avanzata dell’esercito ucraino».
È in quel momento, ha aggiunto Roguelon, che ha avuto inizio l’attacco contro di noi. «Un ragazzo poco più che ventenne, in abito civile si è avvicinato a noi e, con un’espressione spaventata, ha detto a Mironov che dovevamo allontanarci da lì ma senza correre, perché ci avevano individuato come bersaglio. Ci siamo mossi per tornare verso il muro della fabbrica Zeus, ma non abbiamo fatto in tempo a raggiungerlo. Sono iniziate le raffiche di colpi sparati contro di noi».
Per sfuggire al fuoco, ha proseguito Roguelon, tutti e cinque si ci siamo rifugiati in un boschetto, e ci siamo lasciati cadere in un fosso.
Mironov Roguelon ha fatto rivivere quel momento ai giudici e al pubblico riunito nell’aula della Corte d’Assise proiettando un video della durata di un minuto, girato con la sua reflex. Si vedono soltanto le fronde degli alberi e si sentono fischiare i proiettili cadere a poca distanza da loro. «Mentre giravo – ha detto Roguelon – sono stato colpito alle gambe. Anche Mironov è stato colpito nonostante avesse piazzato la borsa della sua macchina fotografica ben visibile sul suo petto. Poco più in là ho visto Andrea Rocchelli caduto a terra. C’era tanto sangue».
Per anni il fotoreporter francese ha cercato di dimenticare quei momenti che invece ricorda con grande lucidità. Su un punto non ha dubbi: «Hanno sparato per uccidere. Prima hanno colpito la nostra auto, per eliminare il nostro mezzo di fuga, poi hanno continuato sparandoci addosso. Non ci sono state neanche delle scariche di avvertimento».
Il racconto di Roguelon ha fatto emergere la passione e insieme la professionalità dei fotoreporter sotto tiro, come ha sottolineato l’avvocato Ballerini. «Fino all’ultimo Andy e di William hanno continuato a scattano foto sapendo che stavano per morire. Questo è segno non solo di una passione ma di una professionalità eroica. William si spostava insieme con loro perché aveva visto che Andy e Andrei erano “estremamente cauti e professionali”, sono proprio queste le sue parole. Andy e Andrei non erano affatto degli sprovveduti. Nonostante la loro giovane età, avevano una grande esperienza e William si fidava di loro. Quando sono stati attaccati regnava una situazione calma che non lasciava presagire alcun pericolo».
La prossima udienza si terrà il 14 dicembre, e in quell’occasione saranno ascoltati alcuni dei giornalisti che si trovavano nel Donbass in quelle settimane del maggio 2014.
Giacomo Bertoni
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!