Ossigeno estenderà il suo monitoraggio ai whistleblower
Ilaria Fevola ha illustrato con questo intervento la posizione di Ossigeno al seminario internazionale organizzato il 27 novembre 2018 dall’Università di Gand (Belgio) sul tema: “Protezione di whistleblower e giornalisti”
In Italia la necessità di assicurare una protezione giuridica ai whistleblower è entrata nel dibattito pubblico negli ultimi anni e ha trovato una prima risposta soltanto a dicembre del 2017, quando il Parlamento italiano ha approvato la legge n.179/2017.
Questa legge ha rafforzato la tutela giuridica di quei lavoratori dipendenti o collaboratori di aziende pubbliche e private che, nelle forme previste, segnalano reati o illeciti commessi all’interno del proprio ente, proteggendoli dalle possibili ritorsioni di colleghi o superiori. La legge garantisce agli autori di queste segnalazioni innanzitutto l’anonimato anche durante i processi che eventualmente scaturiranno dalle segnalazioni. La stessa legge prevede inoltre canali di comunicazione in grado di proteggere l’anonimato.
Il bilancio del primo anno
Un bilancio del primo anno di applicazione della legge è stato fornito da “Transparency International Italia” che, insieme al Centro Hermes per la Trasparenza e i Diritti Umani Digitali, negli ultimi anni ha sviluppato iniziative su questo tema e sulle tecnologie informatiche che possono permettere a enti pubblici e privati di ricevere segnalazioni su episodi di corruzione e di gestirle nelle forme dovute.
“Transparency International Italia” ha reso noto un suo rapporto (leggi) secondo il quale un anno dopo l’approvazione della legge, lo strumento del “whistleblowing” ha avuto applicazione e diffusione soprattutto nel settore pubblico. Dopo l’approvazione della legge, secondo i dati forniti dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), la media mensile delle segnalazioni è raddoppiata rispetto ai medesimi mesi dell’anno precedente (sono stati 621 i casi segnalati da gennaio a maggio 2018 contro gli 823 dell’intero 2017). Dal rapporto risulta inoltre che soltanto il 6 per cento dei 115 comuni capoluoghi di provincia italiani non ha ancora adottato procedure specifiche per ricevere segnalazioni. Poco confortante è invece un altro dato: soltanto il 40 per cento di questi Comuni ha attivato idonei canali informatici.
“Transparency International Italia” ritiene che questi risultati segnalino scarsa fiducia da parte dei dipendenti pubblici in queste modalità di segnalazione, a causa di persistenti dubbi sull’effettiva garanzia dell’anonimato.
La disparità pubblico-privato
La debolezza più evidente di questa nuova legislazione italiana riguarda dunque il settore privato poiché i whistleblower dipendenti del settore privato non godono delle stesse garanzie dei dipendenti pubblici ma anche nel settore pubblico ci sono varie pecche: soltanto le più grandi società (di cui la maggior parte sono partecipate dello Stato) si sono dotate di procedure adeguate alla nuova normativa.
La disparità pubblico-privato è stata sottolineata anche a livello europeo. Emerge anche dalla proposta di direttiva europea sui whistleblower pubblicata ad aprile 2018 e al momento ancora all’esame del Parlamento e del Consiglio Europeo. Questa direttiva ha l’obiettivo di armonizzazione il livello minimo di tutela nei vari Stati membri, lasciando a ognuno di essi la possibilità di introdurre tutele ulteriori e ponendo sullo stesso piano settore pubblico e privato.
Il ritardo italiano
Il ritardo italiano nell’affrontare il problema si spiega soprattutto con motivazioni culturali: l’Italia è un paese che in generale considera negativamente questi comportamenti, anche quelli di chi agisce nell’interesse pubblico e della giustizia. Tuttora nella percezione collettiva i cosiddetti “suonatori di fischietto” non sono considerati figure da proteggere.
Neppure la legge entrata in vigore a dicembre del 2017 prende in considerazione il ruolo dei whistleblower che riferiscono in via riservata informazioni di pubblico interesse ai giornalisti diventando le loro fonti riservate per le inchieste su episodi di corruzione o sull’uso distorto dei fondi pubblici. La stessa legge che riconosce ai giornalisti italiani il diritto di non rivelare l’identità delle loro fonti fiduciarie presenta gravi limitazioni che permettono abusi forzature, procedure giudiziarie invasive che limitano il libero esercizio del diritto di informazione.
Si auspica da molti anni che questo articolo del codice penale venga corretto. E’ uno degli obiettivi indicati nelle campagne promosse da Ossigeno per l’Informazione, che chiede di rafforzare la protezione anche per questo tipo di whistleblower, in nome del fondamentale diritto di espressione e di accesso alle informazioni di pubblico interesse.
I whistleblower e l’informazione
Ossigeno per l’Informazione, nel corso di dieci anni di attività di monitoraggio delle più gravi violazioni della libertà di stampa in Italia, grazie alla quale ha verificato e reso noti episodi di intimidazione, minacce, abusi, nei confronti di 3500 giornalisti e altri operatori dei media, rendendo noti i nomi delle singole vittime finora non ha rilevato i casi che riguardano i whistleblowers che subiscono ritorsioni in quanto forniscono informazioni a giornalisti, blogger, piccoli editori e in generale su tutti coloro che esercitano attività giornalistica.
Nel prossimo futuro Ossigeno prevede di estendere il suo monitoraggio anche alle fonti riservate dei giornalisti che subiscono intimidazioni, minacce e ritorsioni perché permettono ai giornali di riferire, in modo attendibile, informazioni sugli episodi di corruzione e di malaffare di cui vengono a conoscenza svolgendo la propria attività lavorativa.
IF
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