30 anni fa la strage di Mostar. Parla la figlia di una delle vittime
Furono uccisi Marco Luchetta, Dario D’Angelo e Alessandro Saša Ota, inviati di RAI Trieste nella Bosnia in guerra. Le commemorazioni – La storia su Ossigeno-Cercavano la verità
OSSIGENO 27 gennaio 2024 – Sono trascorsi trent’anni dalla strage di Mostar, in cui furono uccisi i tre inviati della sede Rai del Friuli-Venezia Giulia: il giornalista Marco Luchetta, il video operatore Alessandro Saša Ota e il tecnico di ripresa Dario D’Angelo. Non sono mai state accertate responsabilità per l’esito tragico di quella missione in una zona di guerra ad alto rischio.
Alle vittime di questa strage, Ossigeno per l’informazione dedica tre sezioni e una ricca documentazione con ricordi e testimonianze sul sito “Cercavano la verità”, dedicato ai trenta giornalisti italiani uccisi in terre di mafia, di guerra e dal terrorismo.
Quel 28 gennaio 1994 i tre componenti della troupe avevano raggiunto Mostar Est, da mesi dilaniata dai bombardamenti. Erano riusciti a ottenere il lasciapassare dopo vari tentativi e dopo aver già fatto altre interviste a Mostar Ovest, controllata dalle truppe croate. Quel giorno furono autorizzati dal comando dell’UNHCR a entrare nella zona della città sotto il controllo dei mussulmani. Gli inviati volevano fare delle riprese per un servizio sui cosiddetti “bambini senza nome”, nati da stupri etnici o figli di genitori dispersi nei combattimenti che devastavano la Bosnia Erzegovina. Per questo la Fondazione nata dopo questa tragedia si occupa di aiutare i bambini che non possono essere curati nei loro paesi di origine.
IMPUNITÀ – Fu una granata a uccidere Luchetta, Ota e D’Angelo. Ma per loro non c’è ancora giustizia dopo tre decenni. Come altri operatori dell’informazione vittime di guerra, anche per i tre inviati RAI l’inchiesta giudiziaria si concluse senza esito.
LA FIGLIA DI DARIO D’ANGELO – “Ho sempre avuto, e serbo tutt’ora, il dubbio che quella strage sia stata studiata e voluta. Quella era una guerra di cui si parlava poco, se non attraverso i racconti di giornalisti e operatori come mio padre”, racconta a Ossigeno la figlia di Dario D’Angelo, la signora Nataly che spiega: “Cosa poteva fare più clamore se non l’uccisione di giornalisti? A distanza di trent’anni io e la mia famiglia siamo ancora molto arrabbiati, perché è stato chiuso tutto troppo velocemente senza cercare la verità”.
Anche Milenka Ota, moglie di Alessandro Saša ha espresso più volte la convinzione che non si sia fatto abbastanza per cercare eventuali responsabilità. Ha ricordato amareggiata a Ossigeno: “mi sono rivolta al Tribunale di Trieste, all’Onu e al tribunale dell’Aja, ma ho trovato un muro di gomma. Dopo trent’anni penso si sia trattato di un omicidio volontario. La cinepresa di mio marito è stata trovata vuota”.
La moglie del giornalista Marco Luchetta, Daniela Schifani Corfini, presidente della Fondazione “Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin” di Trieste, ha vissuto quella tragedia sforzandosi di pensare che “a uccidere Marco e i suoi colleghi sia stata la guerra”, come ha ricordato, pur sottolineando alcune evidenze: l’arresto dei bombardamenti sulla città dal giorno dopo l’uccisione dei tre inviati RAI, le minacce rivolte ai giornalisti che denunciavano la guerra.
Ossigeno per l’informazione in occasione di questo anniversario ha arricchito la documentazione presente su www.giornalistiuccisi.it, dove già si possono leggere le storie umane e professionali dei tre inviati e contributi esterni tra cui la testimonianza di Daniela Schifani Corfini. Da oggi è possibile leggere anche il ricordo di Nataly D’Angelo.
“Avrei compiuto 22 anni nel 1994. La morte di mio padre è stata un colpo. Partecipò a quella missione per caso, per sostituire un collega. Il destino ha voluto che io sia stata l’ultima persona che l’ha visto e anche l’ultima con la quale ha parlato”. Dario D’Angelo era una persona allegra e dinamica che amava la musica, racconta sua figlia. Del suo lavoro parlava poco in famiglia: “Non voleva che sapessimo quello che lui riusciva a vedere e che noi abbiamo saputo solo attraverso i racconti dei suoi colleghi. Ma portava dentro di sé i segni di quelle esperienze: quando rientrava a casa non trascorreva notti tranquille, faceva incubi, lo sentivamo parlare o gridare nel sonno”.
Nataly ha sempre raccontato di suo padre, delle sue passioni e anche della strage ai suoi figli che oggi hanno l’età che lei aveva nel 1994. “Hanno sviluppato un attaccamento per il nonno che non hanno mai conosciuto che non avrei mai pensato – dice emozionata – Sono loro i nuovi testimoni della sua storia”. LEGGI L’INTERVISTA SU CERCAVANO LA VERITÀ
LE INIZIATIVE – La Fondazione dedicata agli inviati RAI un ricco programma di iniziative: proiezioni, mostre e approfondimenti sui temi del giornalismo d’inchiesta e dell’accoglienza animeranno Trieste sabato 27 e domenica 28 gennaio 2024 (vedi la locandina completa). Per l’occasione, nell’ambito della XX edizione del Premio Luchetta, è stato istituito il Premio Rotta Balcanica, rivolto a giornalisti e fotoreporter che si sono dedicati al dramma delle persone migranti e richiedenti asilo. Saranno premiati per la sezione stampa Linda Caglioni, giornalista freelance che per Altreconomia ha realizzato un servizio su una famiglia marocchina che, dopo complesse e costose procedure, è riuscita a riavere dalla Croazia il corpo del figlio, Yasser, morto lungo Rotta balcanica nel 2020 in circostanze poco chiare; e per la sezione immagini Giulia Bosetti ed Eleonora Tundo di Presadiretta, Rai 3, con il viaggio-inchiesta sulle tecnologie per il controllo delle frontiere al confine tra Bosnia e Croazia.
Una commemorazione è prevista anche a Mostar. Martedì 30 gennaio, Luchetta, Ota e D’Angelo verranno ricordati ufficialmente in un appuntamento promosso dall’Ambasciata d’Italia in Bosnia Erzegovina, alla presenza di una delegazione composta dai familiari delle vittime e da alcuni giornalisti, che sarà ricevuta anche dalla municipalità di Mostar. GPA
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