28 anni fa la strage della troupe Rai a Mostar in cui morirono Luchetta, Ota e D’Angelo
La loro storia sul sito “Ossigeno – Cercavano la verità” www.giornalistiuccisi.it . Chi erano – Cosa fa la Fondazione che aiuta i bambini vittime dei conflitti
OSSIGENO 27 gennaio 2022 – Ventotto anni fa, il 28 gennaio 1994, a Mostar, nel sud della Bosnia Erzegovina devastata dalla guerra che divideva in due fronti la stessa città, persero la vita il giornalista Marco Luchetta, il video operatore Alessandro Saša Ota e il tecnico di ripresa Dario D’Angelo. Furono uccisi dall’esplosione di una granata mentre stavano realizzando un servizio per la RAI.
Erano dipendenti della sede Rai del Friuli-Venezia Giulia che, con lo scoppio delle ostilità, si era trovata proiettata su quel fronte. Erano stati inviati da Trieste nella città bosniaca per documentare le drammatiche condizioni della popolazione civile. Dal 1991 la sede Rai di Trieste era l’avamposto che seguiva la grande crisi che si era aperta nei Balcani dopo la caduta del muro di Berlino.
Quel giorno il giornalista Marco Luchetta e i due tecnici che lo accompagnavano avevano già fatto delle interviste nella zona Ovest, controllata dalle truppe croate. Per completare il lavoro dovevano andare dall’altra parte della città, nella zona Est sottoposta da giorni a un intenso bombardamento.
La troupe aveva provato a raggiungere la città già un mese prima, a dicembre del 1993, ma la pericolosità della situazione aveva impedito il loro ingresso. Fu invece ammessa quel 28 gennaio 1994, autorizzata dal comando dell’UNHCR. Dario D’Angelo stava riprendendo gli occhi tristi di Zlatko, uno dei bambini che si trovavano nel rifugio nel quale la troupe cercava di entrare, quando l’esplosione uccise lui e i suoi colleghi. Zlatko sopravvisse.
Nei giorni successivi fu avviata una inchiesta giudiziaria per accertare eventuali responsabilità. Come è accaduto anche successivamente per altri cornisti uccisi in zone di guerra, l’inchiesta si concluse senza esito. Nel 1998 la moglie di Alessandro Saša Ota presentò alla Corte internazionale di giustizia un esposto per chiedere l’accertamento delle responsabilità. La sua richiesta è rimasta senza risposta.
CERCAVANO LA VERITÀ – La drammatica vicenda di Luchetta, Ota e D’Angelo è ricostruita sul sito “Ossigeno – Cercavano la verità” www.giornalistiuccisi.it dedicato ai trenta giornalisti italiani uccisi mentre svolgevano il loro lavoro. Insieme a immagini e a una ricca documentazione sono presenti le storie umane e professionali dei tre componenti della troupe Rai.
Erano figli della stessa terra, con esperienze familiari e professionali diverse. Marco Luchetta (leggi) si accostò alla cronaca, diventando giornalista professionista, dopo gli esordi come cronista sportivo; la fotografia e le riprese accompagnarono la vita di Saša Ota (leggi) fin da ragazzo, che si distinse come l’unico reporter che nel maggio 1993 filmò la dichiarazione con cui Milošević annunciò il diniego serbo alla proposta di pace della Comunità internazionale; Dario D’Angelo (leggi) era appassionato di musica e svolse diversi mestieri prima di giungere alla Rai, compiendo la sua prima missione in zone a rischio nell’estate del 1990, in Slovenia.
DALLA TRAGEDIA ALL’IMPEGNO SOCIALE – Ogni volta che Marco Luchetta ritornava a casa, a chi gli chiedeva perché accettasse missioni così rischiose, rispondeva: “Vado perché non si può far passare tutto sotto silenzio. Bisogna testimoniare, far sapere. Pensate soltanto a quei bambini…”. Si riferiva ai bambini nati da stupri etnici o figli di genitori dispersi nei combattimenti. Per loro, dopo la strage del 28 gennaio 1994, è nata a Trieste la Fondazione intitolata ai tre cronisti uccisi e a Miran Hrovatin, che fu assassinato due mesi dopo in un agguato a Mogadiscio, insieme alla giornalista del Tg3 Ilaria Alpi. Da allora la Fondazione concretizza progetti di assistenza per i bambini vittime dell’atrocità dei conflitti. “Da un evento terribile è nato qualcosa di bellissimo” – dice la presidente Daniela Schifani Corfini Luchetta, moglie del cronista ucciso. – “Mai avremmo potuto immaginare che 28 anni dopo, in memoria di Marco, Alessandro e Dario, più di 800 bambini sarebbero stati aiutati, recuperando la vita. Questo è la cosa straordinaria che rimane, accanto a un ricordo ovviamente triste”. In particolare, ricorda la presidente, oggi la Fondazione è in prima linea nell’aiuto delle famiglie provenienti dall’Afghanistan: “Da ottobre scorso, la Fondazione ha accolto nelle proprie case già due nuclei, e altre famiglie presto dovrebbero arrivare”. GPA
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