10 anni fa ucciso Simone Camilli, mostrava la tragedia dei bambini di Gaza
Il padre del fotoreporter ricorda per Ossigeno-Cercavano la verità che lo faceva per richiamare l’attenzione su di loro – La sua storia su www.giornalistiuccisi.it
OSSIGENO 12 agosto 2024 – Dieci anni fa il fotoreporter italiano Simone Camilli, 35 anni, sposato e padre di una bambina di tre anni, rimase ucciso insieme ad altri dall’esplosione di una bomba inesplosa che gli artificieri erano impegnati a disinnescare. Era il 13 agosto 2014. Simone si trovava a Beut Lahia per raccontare con la sua fotocamera le drammatiche condizioni dei civili, soprattutto dei più piccoli, verso i quali si incentravano le preoccupazioni delle organizzazioni internazionali.
Era un giorno di tregua e lui aveva deciso di documentare le pericolose operazioni di rimozione degli ordigni inesplosi nei pressi di un campo di calcio frequentato da bambini. Nella Striscia erano in corso, come ai nostri giorni, le operazioni militari condotte dalle Forze di Difesa Israeliane contro Hamas e altri gruppi che controllavano la Striscia di Gaza.
IL RICORDO DEL PADRE – In questo decimo anniversario, il padre del fotoreporter, il giornalista RAI Pier Luigi Camilli, traccia per Ossigeno per l’Informazione un ricordo inedito del figlio. “Simone – – dice a Ossigeno – adorava i bambini. Si capisce bene dalle immagini fotografiche che scattava negli ospedali di Gaza. Se fosse sopravvissuto a quell’incidente mortale avrebbe continuato a fotografarli, per risvegliare, con immagini e reportage, l’interesse per l’incolumità dei bambini. Ne sono sicuro. In questa guerra delle stragi, l’uccisione dei bambini e la tragedia più atroce e Simone l’avrebbe raccontata”.
A ottobre 2023, quando a Gaza fu attaccato l’Al-Ahli Arabi Baptist Hospital, dice Pierluigi Camilli, pensai proprio a questo: che Simone ce lo avrebbe raccontato con le sue immagini. “Una volta – aggiunge – Simone aveva organizzato dall’Italia un evento, collegandosi con il maggiore ospedale di Gaza per mantenere vivo il legame con quella struttura in cui lui aveva scattato centinaia di foto”.
Simone, sottolinea il padre, non era un fazioso, era “amico di israeliani e palestinesi, non faceva distinzioni, lui stava con tutti quelli che soffrono e subiscono ingiustizie”.
Simone Camilli, ricorda inoltre suo padre, era stato cine foto reporter per l’AP, Associated Press, insieme a un gruppo di giovani fotoreporter italiani che hanno documentato storie dure e difficili per il pubblico di molte parti del mondo. Aveva fotografato anche altri conflitti come quello in Armenia e Azerbaijan, in Georgia, “sempre raccontando la realtà con pudore, per non parlare solo di odio e di dolore”. Affrontò molte peripezie nelle montagne della Georgia in zone impervie, dove suo padre racconta che non è mai mancata l’accoglienza degli abitanti.
“A distanza di dieci anni, siamo rimasti in contatto con i colleghi palestinesi di Simone”, conclude Pierluigi Camilli nel suo ricordo inviando a Ossigeno una foto ricevuta dai colleghi che si trovano a Gaza e sottolineando che con loro oltre al dolore condivide la speranza di un futuro senza conflitti. Nello scatto del 2014 ci sono Simone Camilli insieme al collega Najib Jobain. (vedi).
CHI ERA – Nella lista dei trenta giornalisti italiani uccisi, in Italia e all’estero, dal 1960 a oggi, Simone Camilli è l’ultimo in ordine cronologico. È rimasto vittima di quello che, secondo i rapporti delle Nazioni Unite, è il conflitto più mortale e pericoloso per i giornalisti nella storia recente.
Era un giovane cronista audiovisivo e uno studioso di storia delle religioni. La sua vita è stata ricostruita da Ossigeno sul sito “Cercavano la verità” www.giornalistiuccisi.it dove sono presenti anche documenti e testimonianze. Il suo volto e il suo nome sono presenti, insieme agli altri 29 giornalisti italiani uccisi, sul Pannello della Memoria che si trova a Roma all’ingresso della Casa del Jazz, bene confiscato alla criminalità organizzata romana. Il Pannello è stato consegnato alle più alte istituzioni italiane, a scuole, università, enti locali e sindacati che lo espongono come monito in difesa della libera informazione.
(ha collaborato Maria Laura Franciosi)
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